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Donne e Uomini, economics, Politica, WOMENOMICS Settembre 4, 2012

Tutte al Mercato con Angela

angela merkel al supermarket

Magari l’ha detto perché si trovava in Baviera, aveva bevuto un paio di birre, e un po’ di populismo ci stava. O perché in fondo lo pensa pure lei, e non ce l’ha più fatta a tacere. O perché è una donna, e si è ricordata di esserlo, e non sono state certo le donne a inventarsi il neoliberismo e la speculazione finanziaria ammazzapopoli.

Certo che sentire Angela Merkel, non Naomi Klein, non una di Occupy Wall Street, dire che “i mercati sono contro la gente”, che hanno autorizzato pochi ad arricchirsi a spese di quasi tutti (99 a 1, insomma), che bisogna portare anche lì “lo spirito dell’economia solidale“, che i paesi deboli meritano la nostra solidarietà, che è per liberarci tutti dal potere dei mercati che “la Germania deve premere per le riforme, anche se a volte siamo severi”, be’, sentirle dire tutto questo fa una certa impressione.

In verità qualcosa del genere le era già scappato, lo scorso ottobre al congresso della Csu a Norimberga (bisogna porre un limite ai mercati, «affinché non possano rovinare le persone») e a novembre a quello della Cdu a Lipsia («l’economia e la finanza devono essere al servizio delle persone e non il contrario»), ma a quanto pare questa non è una settimana come le altre, e le conseguenze potrebbero essere di un certo rilievo.

Forse Merkel pensa che sia il momento giusto per fare intravedere dell’altro, per introdurre omeopaticamente nelle logiche dei governi una quota di no-globalism, forse è solo che la Germania andrà al voto, forse è che anche lei non crede più del tutto alla Necroeconomia.

Io comunque sono contenta di quello che ha detto, mi pare una novità promettente, mi aspetto azioni politiche conseguenti, e spero che l’amica teologa e casalinga svizzera Ina Praetorius -ma nata in Germania, a Karlsruhe- sappia cogliere l’attimo, le invii una copia del suo “Penelope a Davos”, che vada personalmente a trovarla per dirle che «un ordine che sia stato costruito […] è logicamente anche modificabile», e vale anche per il neoliberismo.

Se ci va la accompagno.

economics, Politica Luglio 23, 2012

In cantina, sotto le bombe

Ti alzi la mattina e senti suonare l’allarme, e fai a malapena in tempo a scappare in cantina prima che le bombe ti cadano sulla testa: il differenziale tra Btp decennale italiano e Bund tedesco a 528 punti, lo spread tra i Bonos spagnoli e i Bund al record di 635 punti; Piazza Affari a -2,33 per cento. A Francoforte il Dax perde l’1,26 per cento e a Parigi il Cac 40 lascia sul terreno l’1,60 per cento, Madrid è a -3,25 per cento.

Guardo l’intervista a un commerciante spagnolo: “Il fatto” dice “è che noi non la capiamo, questa crisi. Non sappiamo che cosa si deve fare. Ci dicono: credete agli economisti. Ma come facciamo a crederci? Se gli economisti sapessero fare il loro lavoro avrebbero avvisato i governi per tempo. Sono loro ad averci portato in questo baratro. Come possiamo credere che saranno loro a tirarcene fuori?”.

Quello che ci chiediamo, mentre stiamo giù in cantina, è che cosa NOI possiamo e dobbiamo fare. Che cosa ciascun* di noi può e deve fare e che non sia una mera scarica motoria. Se ha senso affidarsi alle soluzioni di quell’economia che ha fallito, alle cure di quello stesso medico che ci ha fatto ammalare.

In che direzione dobbiamo spingere? Dove dobbiamo andare? Qual è la sponda alla quale approdare? Perché ci lasciano senza altro orizzonte se non quello di una “ripresa della crescita”? Che cosa dovrebbe riprendere a crescere?

Che cosa io, tu, noi, voi dovremmo e potremmo fare, in una giornata come questa?

AMARE GLI ALTRI, ambiente, Donne e Uomini, economics, Politica Settembre 18, 2011

Penelope a Davos

Se vi è mai capitato di pensare che l’economia è una scienza triste, lontana non solo dalla produzione e dall’allegria del fare, ma dalla vita reale tout court, dai bisogni, dal desiderio umanissimo di felicità; e se dopo averlo pensato vi siete sentiti impotenti al cospetto di questo Superleviatano e delle sue leggi date come immutabili, rassegnati di fronte questo pensiero triste che paradossalmente ci sta rendendo anche più poveri –tutti, tranne pochissimi-, allora il libro di Ina Praetorius, teologa protestante svizzera, “autrice di saggi, casalinga e madre di una figlia” è scritto per voi.

In “Penelope a Davos” (ed. Quaderni di Via Dogana), Praetorius guarda al disordine di fine-patriarcato, alla crisi irreversibile di una civiltà che ha preso forma dal dominio maschile. Il compito elettrizzante che oggi abbiamo, dice, donne e uomini insieme, è quello di costruire un pensiero post-patriarcale. Di trovare parole, immagini, un simbolico che fa nascere il mondo nuovo. Senza lasciarsi scoraggiare: “un ordine che sia stato costruito è logicamente anche modificabile”.

L’economia è l’epicentro del grande disordine, ed è “urgente e indispensabile… restituire alle donne e agli uomini che se ne occupano la libertà di ripensarla in un modo nuovo”. Sentendosi liberi di pensare che “il mercato, quando si costituisce erroneamente quale prima istanza dell’economia, è destinato a fallire, e lo si desume dal fatto che in un’economia di mercato globale migliaia di persone muoiono quotidianamente di fame”. Vale in particolare per un mercato in cui lo scambio avido è ormai solo tra denaro e altro denaro, senza alcun rapporto con i bisogni umani reali.

La soluzione non sta in leggi che vincolino queste transazioni, ma nel fatto di non pensare più al mondo come mercato per ricominciare a vederlo come l’ambiente domestico, la casa, l’oikos –radice del termine economia- di 6 miliardi e mezzo di umani, tutti ugualmente bisognosi e interdipendenti. Si tratta di rimettere le cose al loro posto, tornando a vedere il mercato come istanza secondaria, e  bisogni e relazioni come primari. Anche a costo di sembrare ingenua e naïve, dice Praetorius: “aggettivo che viene dal latino nativus, relativo alla nascita”. Ma è proprio a partire dalla nascita, dalle relazioni, dalla vulnerabilità, da un’idea di libertà che non è indipendenza assoluta ma “partecipare al gioco del mondo con nuove pratiche” (Hannah Arendt), che lei intende ripensare le cose.

economics, esperienze, Politica Settembre 15, 2011

Un dito in… Borsa

L’assessore alla Cultura, Expo, Moda e Design Stefano Boeri ci invita a una piccola ma significativa decisione collettiva. Parliamone (tra milanesi e non): il tema è quello dell’arte sociale e riguarda tutti.

Entro il 30 settembre dobbiamo decidere se accettare o meno la donazione al Comune  dell’opera L.O.V.E. di Maurizio Cattelan. La monumentale scultura in marmo – un dito medio rivolto verso il cielo –  è stata realizzata da Cattelan per Piazza Affari e dal 24 settembre del 2010 sta davanti al Palazzo della Borsa. Cattelan è stato chiaro: dona la sua opera solo se resta nel luogo per cui è stata pensata. Che cosa fare?

Accettare la sua donazione non significa solo acquisire un’importante opera di un artista internazionale, ma soprattutto accettare un’immagine che ci fa riflettere sull’idea di “scultura sociale” e che –in quel luogo, proprio in quel luogo – produce reazioni, disagio, emozione, attrazione come forse dovrebbe fare ogni monumento contemporaneo. Rifiutarla significa capire e rispettare la sensibilità di chi –soprattutto nel mondo della Finanza- si sente offeso e in qualche modo turbato da una presenza potente, acida, ingombrante.  Nelle prossime settimane dovrò portare in Giunta una delibera orientata verso una delle due opzioni.  Trovo interessante ragionare sulla prima ipotesi,  ma credo anche che una scelta come questa, riferita ad un’opera che parla a tutta la città, debba nascere dal largo ascolto dell’opinione pubblica.

Aspetto i vostri commenti e pareri; e vi aspetto in Piazza Affari mercoledì 21 settembre alle 18 per una chiacchierata davanti, anzi sotto, al “dito”. Grazie

Stefano Boeri

AMARE GLI ALTRI, economics, TEMPI MODERNI Agosto 26, 2011

Una ragione storta

Immediatamente dopo l’annuncio di Steve Jobs, che per gravi ragioni di salute è stato costretto a lasciare la guida di Apple (“… purtroppo il momento è arrivato, mi ritiro”) le azioni della mela sono crollate del 5 per cento, mentre quelle dei concorrenti Actc e Samsung hanno registrato rispettivamente un +4.1 e un +3.2 per cento.

Tutto questo è perfettamente comprensibile, assolutamente logico, del tutto razionale. Eppure la notizia mi procura un malinconico stupore. E’ una razionalità triste, che non mi piace affatto. Somiglia all’idea di gente che brinda perché ha fatto i soldi con vendite allo scoperto, mentre intere popolazioni stanno morendo di sete in Africa.

E’ una ragione storta e inumana. Non si può continuare così.

economics Marzo 6, 2009

MERDA IN PIAZZA SCALA

E voi che che cosa fate? Quei quattro soldi (o quanti ne avete), li lasciate in banca? (della Borsa non parlo nemmeno). Ho sfogliato i giornali, stamattina, e dopo aver visto le prime pagine sull’anno terribilis e sulla stretta creditizia, e i titoli sull’azienda Italia a rischio fallimento, e poi l’opposizione che non c’è, Califano e l’8 marzo, lo stupro nel super di Lambrate, e di conseguenza dopo aver letto il titoletto di Repubblica “Merenda in Piazza Scala” come “Merda in Piazza Scala” -il cervello fa quello che può, l’inconscio fa il suo onesto lavoro, e voi sapete che tra soldi e cacca vi è una certa quale affinità-, sono tornata alla prima pagina e mi sono domandata, per tornare a bomba: che cosa si fa? quei quattro soldi li si lascia in banca? E se no, dove?

Donne e Uomini, TEMPI MODERNI Novembre 25, 2008

MAMMA, AIUTAMI!

un toro. non una mucca

un toro. mica una mucca

Scrive in un commento Giuly: “C’è questa ricerca dell’Università di Cambridge che sostiene che ci sia la possibilità che le bolle economiche siano un fenomeno maschile legato al livello di testosterone.
Mettiamola in termini di ormoni, di yin e yang, usiamo qualsiasi archetipo o simbolo ma mi sembra veramente incredibile che si possa ancora pensare che il fallimento che è sotto gli occhi di tutti possa essere sanato dallo stesso pensiero unico che lo ha causato. Scusate, sono ripetitiva ma mi sembra ogni giorno più incredibile…”.

Mettiamola così -e per l’ennesima volta, prima o poi ci entrerà in testa…-: che se il genere umano è bisessuato, una ragione ci sarà; e se uno dei due sessi impone la sua differenza come assoluto, se pretende di rimanere solo a decidere delle cose del mondo, lo squilibrio è inevitabile; e se dopo parecchi millenni di questo sistema monosex il pianeta è affaticato e isterilito, a qualche correttivo in direzione di una gestione collaborativamente bisessuata si dovrà pur pensare. Quanto all’economia in particolare, propongo a Giuly e a tutti gli altri una lettura “di genere” della crisi, confortata dalle opinioni di una signora che se ne intende.

Questa mia intervista a Loretta Napoleoni è comparsa su Io donna – Corriere della Sera sabato 22 novembre (un po’ lunghetta, lo so, per un blog, ma fate un sforzo, credo che ne valga la pena).

Se sulla crisi si facesse un sondaggio tra le donne di tutto il mondo, se si chiedesse loro come la stanno vivendo si registrerebbe un’immensa rabbia. Non solo perché non sono state loro a inventare il gioco anti-economico globale che ci ha messi ko, ma anche per il fatto che il loro saper fare economico, con al centro la vita e il desiderio, non viene interpellato.
Vale anche per le dottore in economia. Salvo rare eccezioni: come Loretta Napoleoni, romana trapiantata a Londra, grande esperta mondiale di terrorismo ed economia, consulente di Bbc e Cnn, editorialista per The Guardian, Le Monde, El Paìs, L’Unità e autrice di numerosi saggi.
Una che interviene senza timidezze. Nel suo “I numeri del terrore”, scritto con Ronald J. Bee (Il Saggiatore), ha lucidamente previsto la crisi globale. E condivide l’opportunità di darne una la lettura “di genere”.

“C’è molto malcontento tra le addette ai lavori” conferma “anche se solo a porte chiuse. La paura di esporsi è molto forte. Nel Women in Banking and Finance, network internazionale di operatrici del sistema bancario e finanziario, si dice che se alla guida delle banche ci fossero state delle donne tutto questo non sarebbe successo. Ma far passare i propri criteri è ancora più difficile che arrivare al top”.

E quali sono questi criteri?

L’uomo tende al gioco e all’azzardo: qui, poi, il rapporto tra il rischio e l’eventuale guadagno era sproporzionato. Anche se fosse andato benissimo, cioè, il gioco non sarebbe valso la candela. Per le donne invece il perno è il risparmio”.

L’Islanda alla bancarotta ha chiesto aiuto alla “mamma”: a traghettare il paese sono state chiamate due donne, Elìn Sigfùsdòttir e a Birna Einarsdòttir, con l’idea di “cambiare la cultura rischiosa dei bonus e delle stock option”. Che cosa hanno in mente di fare?

“Hanno impostato un programma di carattere keynesiano: in poche parole, incentivi all’economia reale e abbandono di ogni logica di rischio”.

Ma su questo, più realtà e meno azzardo, oggi sembrerebbero d’accordo tutti, donne e uomini…

“Solo a parole. In realtà di fronte alla necessità di un vero cambiamento gli uomini sono molto reticenti. Il terreno della finanza ad alti rendimenti non è stato affatto abbandonato. La convinzione è che si debba resistere fino al 2009, e poi le cose torneranno come prima. Oggi in borsa si specula al ribasso: il caso più eclatante è stata la Volkswagen. La logica resta l’azzardo. Che si tratti di una crisi di sistema non è stato affatto metabolizzato. La parola d’ordine maschile è ‘tenere duro’. Quella femminile è ‘fuori di qui’”.

E fuori di qui che cosa c’è?

“L’accettazione vera della fine di questo sistema. L’adesione convinta alla necessità di un mercato regolato. Una logica del risparmio che poi è la stessa che le donne agiscono con competenza nella gestione dei bilanci familiari. La centralità dell’attività reale. L’accettazione del rischio d’impresa, ma riducendo al minimo quello legato al debito. Un’idea del denaro per la vita, non del denaro per il denaro. L’applicazione in grande, insomma, di quelli che sono già i comportamenti economici femminili”.

La teologa svizzera Ina Praetorius dice che i modi in cui si organizza l’ambiente domestico –‘economia’ vuol dire questo: legge della casa- dovrebbero diventare il modello per il mondo intero. Si può fare?

“Ci sono banche, come l’australiana Westpac, che lavorano già così. Che hanno sezioni femminili, dove le clienti, dall’imprenditrice alla donna di casa, vengono seguite, finanziate, assistite nei loro business. Il microcredito, al 90 per cento gestito da donne, è applicabile con successo anche nei paesi sviluppati, non solo in quelli poveri. Sempre in una logica di legame con l’attività reale, la vita e i bisogni”.

Nel suo libro lei dice che la crisi è maschile anche perché la causa principale è nell’enormità di risorse investite dagli Usa nella lotta al terrorismo.

“Bush aveva ereditato da Clinton un piccolo surplus. Oggi lascia un deficit di 9500 miliardi: tutto per la guerra al terrorismo. In più le restrizioni imposte dal Patriot Act hanno indotto il sistema bancario internazionale a dirottare gli investimenti dal dollaro all’euro. Diminuendo la domanda mondiale di dollari, la moneta Usa si è indebolita. E i paesi che vendono petrolio e materie prime, pagati in dollari svalutati, hanno alzato i prezzi. A tutto questo si è intrecciata la paura del terrorismo: a ogni minaccia di attentato il mercato ha reagito alzando il prezzo del petrolio. Che almeno fino al 2004, quindi, è salito solo per la speculazione sulla paura e per la caduta del dollaro”.

Lei dice anche, dati alla mano, che questo allarme terrore non è giustificato…

“A dispetto dell’opinione comune, dall’11 settembre l’attività terroristica è cresciuta solo nel mondo musulmano. L’Occidente è stato molto più insicuro negli anni della Guerra Fredda, sia per numero di attacchi che di vittime. L’unica ad aver guadagnato dalla paura, quindi, è stata l’alta finanza, che ha potuto speculare. In più il terrorismo ha distratto dall’economia il governo americano, e anche quello inglese. Hanno lasciato andare il mercato. La crisi dei mutui, l’impoverimento e l’indebitamento delle famiglie si inseriscono in questo scenario di guerra”.

Come ne usciremo?

“Solo con politiche veramente rivoluzionarie. Un nuovo New Deal. Il modello neoliberista non funziona, verità che le donne hanno accettato. Servono regole. Se non una “global governance”, regole rigide applicate in tutti i paesi, come prima della globalizzazione. Ho cominciato a lavorare nella City nel 1981, e quando suonava la famosa campana il mercato si chiudeva. Oggi sulle piazze telematiche compri e vendi quando ti pare. Non si può tornare alla campana, ma gli stati devono poter controllare quello che succede, stabilendo regole del gioco da seguire, pena l’esclusione”.

Quanto tempo ci vorrà per uscirne?

“Dipende da che cosa si farà. E non è detto che si farà quello che si deve. Non meno di 4-5 anni, comunque”.

Quello che faranno gli Stati Uniti è decisivo?

“Decisive saranno le scelte di Cina, Russia, Brasile e India, i 4 paesi “brick”, come si dice. La Cina ha già tagliato i tassi di interesse e sta investendo nelle infrastrutture statali: in pratica un New Deal. La Russia è intervenuta sul mercato finanziario e sta per farlo sull’economia. E ha molti soldi, il 12-13 per cento delle riserve mondiali di danaro. Soldi reali. Economia reale: quella che piace alle donne”.

Come possiamo far sentire la nostra voce?

“La crisi è una grande opportunità. Bisogna dire quello che pensiamo, sempre e ovunque: nei canali alternativi, sui blog, nel web… Bombardarli di pensiero femminile, senza paura. Perché il problema è anche questo: le donne tacciono. Sono bravissime e competenti, ma non osano. Per questo bisogna fare network, aiutarci, imparare a riconoscere l’autorità dell’altra. Non accontentarci di essere poche prime della classe, mosche bianche tra gli uomini. Così non si combina nulla”.

Donne e Uomini, esperienze Novembre 4, 2008

TUTTI MASCHI

Mi arriva il cortese invito a un convegno milanese intitolato “Per uscire dalla crisi: +stato, +mercato, + Europa” (10 novembre ore 15.00, palazzo Mezzanotte). Partecipano: Paolo Bertoli, presidente Andaf, Alberto Bombassei, vicepresidente Confindustria, Luigi Casero, sottosegretario Ministero Economia e Finanze, Enrico Cisnetto, presidente Società Aperta, Luigi Ferraris, direttore Amministrazione Pianificazione e Controllo Enel, Gaetano Miccichè, responsabile Divisione Corporate e Investment Banking, Intesa Sanpaolo, Amministratore Delegato Banca IMI, Francesco Micheli, imprenditore. Conduce Gianfranco Fabi, vicedirettore Il Sole 24 Ore. Tutta gente che di sicuro se ne intende. E per intendersene evidentemente si ha da essere maschi: si è visto, infatti, a Wall Street. Non c’è una donna nemmeno per sbaglio. E dire che quei pazzi degli Islandesi per rimettere in sesto il sistema finanziario si sono affidati con fiducia a due signore, Elìn Sigfùsdòttir e a Birna Einarsdòttir, attribuendo loro il compito di “cambiare innanzitutto la cultura rischiosa dei bonus e delle stock option” e di aggiustare quello che la finanza maschile ha ridotto in pezzi. Sarà che lì c’è un clima diverso. E non solo meteorologicamente parlando.

Mi domando come mai agli uomini non venga mai in mente, ma nemmeno per caso, che le donne possono far bene e avere buone idee da suggerire nel campo dell’economia e della finanza. E che possono aiutare tutti a capire come scaravoltare questa crisi nel senso delle opportunità che contiene. Mi chiedo come mai non si domandino che effetto possa fare a una donna -a me, nella fattispecie- essere invitata a un convegno così congegnato, e perché la cosa non faccia un po’ di effetto anche a loro. Non è questione di violazione del galateo pariopportunitario: è che davvero di quello che pensano le donne non gli importa nulla.

Com’è noioso essere costrette a parlare ancora di queste cose.

Archivio Ottobre 28, 2008

PRIVILEGI

Sono una privilegiata: non ho neanche un euro in borsa, e dormo tranquilla sulla spalla del mio “bambino”: che cosa si può volere di più?