Il nome non lo faccio, sarebbe una querela certa. Posso solo dirvi che pur avendo ormai fatto una certa abitudine, come tutti, agli sfiguramenti da silicone e materiali affini, quando l’ho vista mi è preso un colpo. Quella ex-bellissima ragazza dell’Est, già moglie di un orribile e famoso s-pregiudicato, il viso delicato già rigonfio di sostanze e oggi ancora più gonfio e tumefatto. Un pallone da baseball, le guance come glutei, la bocca pietrificata in una smorfia inerte. Quei lineamenti convessi che oggi dicono che stai invecchiando, e male. Una, insomma, a cui è capitato qualcosa di brutto: un incidente, una grave malattia, o cose del genere.
Credo che la psicosomatica sostanziamente ci azzecchi, e quando vedo qualcuna –oggi se ne vedono tantissime- che sembra incidentata o malata, sia pure per sua scelta, penso che qualche dolore o qualche incidente ci sia effettivamente stato: ma di che tipo? Quale male, quale disgrazia l’hanno ridotta così, complice un chirurgo cinico e baro? Di quale sofferenza ci sta parlando la sua faccia? Alla ragazza che dicevo, poverina, in effetti il marito ne ha fatte tante: la qual cosa, non c’è dubbio, aiuta. Ma penso che il fatto di base sia un altro. E cioè che le sfigurate siano in realtà delle super-emancipate. Donne che si sono omologate al sesso maschile al punto tale da assumere la questione nella carne.
Le emancipate di solito le pensiamo androgine, scabre, zero orpelli femminili. Ma le sfigurate costituiscono un passo avanti nella fenomenologia dell’emancipazione. Fanno molto meglio perché arrivano perfino a guardarsi con gli occhi degli uomini, scolpendo docilmente nella loro carne, un intervento dopo l’altro, il più dozzinale sogno erotico maschile: iper-seni, bocche sempre pronte a una fellatio, facce da fumettaccio porno… Travestite. Cose tra uomini, e per uomini. La femminilità definitivamente fatta fuori, come un miserevole ingombro.
Il male alla base è questo: l’orrore per se stesse come donne. E’ questa la disgrazia che è capitata. La faccia della sfigurata è quella di una resa definitiva. E se guardandola ci immalinconiamo, è perché in lei è incarnata tutta la tristezza di un mondo in cui il femminile e il suo splendore non esistono più.
(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 18 aprile 2009)

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