Torno a Napoli, dopo qualche mese. E niente spazzatura. L’ultima volta erano mucchi fumiganti, da via Chiaia ai sobborghi, fetido inferno senza soluzione di continuità. Che cos’abbia fatto il sindaco De Magistris non lo so, ma a meno che non siano giorni fortunati, la terapia -prudenzialmente lo dico a bassa voce- sembra funzionare.

Ma la meraviglia è il lungomare Caracciolo chiuso al traffico, da Santa Lucia fin quasi a Palazzo Donn’Anna. Dal purgatorio delle auto strombazzanti di colpo si arriva dritti in paradiso. Gente che passeggia, corre, pattina, va in bicicletta. Skate, carrozzelle, risciò. Gente che nuota nell’acqua pulita (qualità: Excellent), che sbocconcella una sfogliata, che s’abbronza sulla scogliera. Ragazze che caracollano sui tacchi, ridono, amoreggiano, Posillipo a destra e il Vesuvio a sinistra.

Un bel salto culturale, se penso a quell’amico che qualche anno fa, avendo scelto temeriariamente ed ecologicamente di muoversi in bicicletta, da un automobilista spazientito si sentì appellare “Ué, ricchiò!”.

Hanno chiuso al traffico per America’s Cup, e ora si dibatte sul futuro. I temi sono gli stessi di tutte le città che sperimentano le Ztl: i commercianti che si lamentano di non commerciare, gli automobilisti furiosi perché non possono automobileggiare, ma è tale la meraviglia di quella scogliera bianca fiancheggiata dai giardini, la quiete ottocentesca di quel lunghissimo viale inondato di sole e di brezza marina -pare Barcellona, anzi, molto di più- che mi auguro che si tenga duro.

Lì si vede bene come Napoli può cambiare, ma senza farsi cambiare, resistendo con la sua vitalità vulcanica a qualunque omologazione. I bambini non smettono di parlare la lingua. I santi sono sempre lì, dappertutto, una cappella votiva ogni cinquanta metri (a “faccia gialla” San Gennaro ora si affianca Padre Pio, che insidia il suo spazio), e nascono sempre nuovi santi, come il ragazzo morto malamente a cui gli amici dedicano un’edicola piena di fiori. Lo spirito sgorga e fumiga dappertutto, come le solfatare a Pozzuoli, cupole barocche incistate tra frettolose edificazioni anni Sessanta, e il canto perenne che si alza in cielo dai Quartieri. E’ l’ultima tappa. Di lì puoi salire, o scendere all’inferno.

Dopo il magnifico “Passione” di John Turturro, esce nelle sale proprio in queste ore “Napoli 24“. Ventiquattro brevi diretti da altrettanti registi, fra cui Paolo Sorrentino, che propone “la Principessa di Napoli” e dice: “Credo che Napoli si presti molto bene a rendere pregi e difetti degli italiani”.  Produzione di Angelo Curti (Teatri Uniti), Nicola Giuliano (Indigo) e Giorgio Maglulo (Skydancers) e Ananas in collaborazione con Rai Cinema, l’idea nasce “da una committenza politica” spiega Nicola Giuliano. “Ci hanno chiesto, tre anni fa, di realizzare un documentario che cercasse di risollevare la città, ma non ci siamo prestati. Non volevamo alterare una realtà sotto gli occhi del mondo, ma far vedere che, pur in ginocchio, ha talento da vendere”.

P.S. Una promessa fatta alle amiche napoletane, che mantengo. Mi appello al sindaco De Magistris perché onori l’impegno preso di una “Casa delle Donne a Napoli”. Il comune aveva annunciato l’assegnazione temporanea di alcuni locali dell’ex-asilo Filangieri. Ma la “Casa” è stata di fatto sfrattata “da un gruppo di uomini che rivendicano l’occupazione dell’intero stabile e contestano la legittimità della presenza delle donne”. Non avendo intenzione di ingaggiare una lotta contro altre associazioni, la Casa delle Donne chiede uno spazio effettivamente disponibile. Di questi tempi ce n’è molto bisogno.

 

 

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