Leggo e riproduco dal Manifesto dell’11 gennaio scorso un intervento di Luisa Muraro, filosofa, sulla questione della laicità, titolo: La laicità non è una religione.


“Grazie per l’attenzione che date alle terribili vicende della Palestina. Leggo anche sul Manifesto che c’è preoccupazione per certe caratteristiche delle manifestazioni per Gaza nelle nostre città, come l’invocazione di Dio e la preghiera pubblica. Valda Busani, in una lettera, spiega queste preoccupazioni. Sono di due, anzi tre tipi: si rischia di escludere la città, si favorisce quelli che lavorano lucidamente allo scontro di civiltà, si compromette il bene (o valore) irrinunciabile della laicità.

Vorrei a questo proposito fare alcune semplici osservazioni. La laicità è un valore relativo, valore innegabile per e nella nostra cultura, che ha rapporto con certe caratteristiche della religione cristiana e con la nostra storia. Se ci credo (io ci credo) faccio bene a difenderla, ma non contro chi è distante dalla mia visione del mondo. Difenderla e praticarla: un modo di praticare la laicità è di non farne un dogma e di guardare laicamente alle manifestazioni della differenza dell’altro. Altrimenti si rischia di fare come i missionari che mettevano le mutande sulle nudità da cui si sentivano turbati.

Restano i due primi argomenti. Ma, risolto il nodo di una sbagliata assolutizzazione della laicità, il problema che abbiamo davanti è quello politico più generale d’imparare e d’insegnare a avere un rapporto di accettazione e di scambio con la differenza. Il vero problema è che quel nodo è durissimo.

Ricordate la storia del liceo Agnesi a Milano? La racconta Anna Leoni, docente di tedesco in quella scuola, sul numero 71 della rivista «via Dogana», dal titolo significativo, «Un passo indietro». Storia che vede giornali e opinionisti di destra e di sinistra coalizzati a bocciare l’iniziativa di un gruppo d’insegnanti che volevano consentire alle ragazze di famiglia islamica di continuare i loro studi nella scuola pubblica. L’iniziativa, già approvata dal provveditorato e dalla provincia, fu sepolta sotto un coro di esecrazione contro la «classe islamica», condite di appelli alla costituzione e altri ingredienti della cultura o incultura politica corrente.

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