Buffet a margine di una presentazione milanese.

Un’amica mi presenta una signora. Bella, elegante. Si chiacchiera, parliamo di figli. Lei ne ha due, maschi, un adolescente e uno sulla ventina. E’ separata, i ragazzi stanno con lei. Dice che sono molto prepotenti. La insultano, si “fanno sotto” fisicamente. “Il grande” mi dice “è un omone. Non riesco a tenerlo”. Si è separata dal marito per la sua prepotenza, e ora rischia di ritrovarsi sulla stessa barca.

Un’altra signora, professionista, anche lei ottima borghesia. Racconta qualcosa di simile. Figli, mariti con una faccia in piazza e una in casa: “Se lo dici non ti credono: ma come, un uomo così gentile, così raffinato, così corretto? Ragazzi così perbene, è un piacere averci a che fare?”.

Come Jekyll e Hyde. No, non lo diresti mai.

Non si arriva al dramma. Niente botte, niente occhi neri e ossa rotte. Che cosa fai, denunci tuo figlio perché ti insulta, perché ti odia, perché prende per i polsi e ti sbatte contro il muro? Ma il problema è molto diffuso, conferma Marisa Guarneri della Casa delle Donne maltrattate di Milano. Un tappeto di violenza “soft”, di violenza “minore” e invisibilissima, agita dai mariti e dai figli, specialmente con le madri separate. Il mondo non lo direbbe mai. Tiri avanti, al massimo ti becchi una gastrite o una depressione ansiosa, due pillole e la sistemi. Ma qualcosa si dovrebbe congegnare: gruppi di self help?

E’ un brutto momento. Crisi, frustrazione, rabbia. Per le donne è brutto il doppio. Ti tocca fare da valvola per tutto quello che non va, dai pagamenti che non arrivano all’assenza di prospettive.

E’ welfare pure questo, è un servizio alla società pure questo. Se la rabbia la sfogano con te, nel chiuso delle case, fuori ne circola meno.

 

 

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