La tenuta del Partito Democratico in questa tornata di voto amministrativo è un fatto. L’antipartitocrazia –e non l’antipolitica- l’ha sostanzialmente graziato. La flessione è stata contenuta.

Ma il segnale va colto: ultimo avviso.

Il “successo”, in una parte significativa di casi, da Genova a Palermo, si conferma legato a candidature esterne. Grave errore sarebbe sopravvalutare il proprio risultato e accomodarsi sugli allori.

Innovare, flessibilizzare, alleggerire, aprire, restituire in ogni modo ai cittadini la capacità di scegliere, accogliere al proprio interno, omeopaticamente, gli umori antipartito, vincere le resistenze della nomenclatura. Legarsi ai territori, ringiovanire, femminilizzare.

C’è tutto il tempo, di qui al voto politico, per mettere in pratica la lezione.

Il nemico è dentro. E’ chi, in questa fase delicatissima, tenterà in ogni modo di arroccarsi in difesa della propria rendita personale, anche contro gli interessi del partito.

Non passerà un altro treno.

15.25, aggiungo questo:

la tenuta del Pd, abbastanza sorprendente, va capita bene. La logica del “sono tutti uguali” è passata solo fino a un certo punto. A mio parere il Pd incassa anche la lealtà al governo Monti, che pur con tutte le disillusioni, sta godendo ancora di sufficiente fiducia.

Azzardo di più: si è colta maggiore possibile continuità tra Monti e il Pd che tra Monti e il centrodx, non parliamo poi del Terzo Polo. Da questa tenuta si può anche dedurre che la forma partito non è considerata totalmente da buttare: tutto si può dire di Bersani, fuorché che sia un leader carismatico, e che stia guidando un partito personale.

Il Pd, nel bene e nel male, è un partito-partito. Credo che si debba riflettere su questo.