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Femminismo, Politica Gennaio 14, 2016

Sbagliamo tutti. Sbaglio anch’io

Tutte e tutti sbagliamo, ma ci sono errori che continuano a bruciare e non riesci a perdonarti. Conviverci fa parte dell’adultità.

Per esempio, uno degli errori che non mi perdono è quello di aver speso un’enorme quantità di energie per sostenere la lotta politica di una donna, l’attuale senatrice Laura Puppato, già assicuratrice, sindaca di Montebelluna e consigliera regionale veneta, che lanciando il cuore oltre l’ostacolo aveva deciso di candidarsi alle primarie per la segreteria del Pd.

Mica ero la sola, intendiamoci: ci cascarono per esempio Marco Travaglio, Marco Paolini, Concita De Gregorio (non è una chiamata di correo: solo per dire che la signora era piuttosto convincente). Si spesero per lei parole grosse, tipo che era la nuova Tina Anselmi. A Milano le organizzai un parterre da regina al Circolo della Stampa, a cui parteciparono tantissime protagoniste della vita cittadina, con tanto di cortese presenza del sindaco Pisapia e consorte. Alcune amiche femministe venete avevano attivato una rete nazionale in suo sostegno. Uno dei nodi della rete ero io. Si vedeva in lei, in un paese politicamente molto misogino e arretrato, la punta di diamante di una riscossa delle donne, una possibile leader. Invece, a quanto pare, la forza delle donne veniva utiizzata solo per passare agevolmente e con i riflettori dalle istituzioni locali a quelle nazionali. Una volta dentro, nessuna significativa battaglia per le donne, rapida svestizione dai panni di leader “femminista”, disinteresse totale compensato da un maniacale impegno per ogni quisquilia veneta. E da un impressionante saltafosso sulla riforma della Costituzione.

Ora, dopo aver espugnato il Senato, si tratta come per quasi tutti di riuscire a restare a Roma –che sarà anche ladrona, ma è sempre meglio che fare l’assicuratore in Veneto-. E nell’evidente auspicio di una ricandidatura la senatrice dedica all’ex-avversario Matteo Renzi (che carinamente la chiama Tata Lucia) una performance che farebbe impallidire Apicella.

Chiedo perdono a tutte e a tutti.

 

 

leadershit, Politica Dicembre 2, 2015

Elezioni amministrative: basta con l’uomo solo al comando. Fateci vedere la squadra

Linus, direttore di Radio Dj, è un tipo molto capace nel suo lavoro oltre che parecchio simpatico. A qualcuno del Pd milanese è venuta l’idea balzana di chiedergli di candidarsi alle primarie per la scelta del candidato sindaco. Non si sa bene a chi: di fronte al suo garbato rifiuto (“non sono all’altezza… la politica mi fa abbastanza impressione“) e alle ironie della rete, oggi tutti nascondono la mano. Un agnello sacrificale della società civile sarebbe molto utile per non dare l’idea che queste primarie sono primarie solo del Pd -e non del centrosinistra- e che Beppe Sala, commissario e ad di Expo, nei fatti non ha veri competitor. Un po’ di cortina fumogena. Peccato, anche stavolta non è andata.

C’è un fatto: tolto il caso di Beppe Sala, candidato unico del partito unico per la città unica etc etc, tutti gli schieramenti fanno una gran fatica a indicare nomi di possibili candidati/e. La bizzarra operazione Linus si spiega anche così. A Milano vive un sacco di gente, e nel sacco c’è anche tanta gente capace e competente. Eppure nomi non ne saltano fuori.

La politica delle donne mi ha insegnato a interrogare gli ostacoli anziché cercare di dribblarli, e a scrutare anche nei vuoti e i silenzi: quando persistono, è perché lì c’è qualcosa di significativo e anche di buono da capire. In questo caso, nella fatica di trovare “il nome”, il buono è che degli uomini soli al comando -e anche delle donne, quelle poche volte che capita- probabilmente ci fidiamo sempre meno. Tu eleggi uno (o una) che poi mette insieme la squadra in base a criteri spesso imperscutabili -un po’ di Cencelli, le spinte e controspinte dei grandi elettori, le simpatie della moglie, metti una sera a cena quattro chiacchiere tra amici-, con qualche rischio per le effettive competenze e quindi per il funzionamento dell’amministrazione.

La squadra, invece, quella che prenderà decisioni non irrilevanti per le nostre vite, quella che deciderà come gestire tutti i soldi che scuciamo come contribuenti e così via, ecco, forse sarebbe il caso di conoscerla prima. O quanto meno, lasciando qualche inevitabile margine di manovra per le alleanze al ballottaggio, sarebbe utile conoscere lo “squadrone” rappresentativo di un progetto e di un’idea di città dal quale il sindaco/a, primus/a inter pares, pescherà il suo team (con tutti gli altri comunque ingaggiati nell’impresa).

Ecco perché mi ritrovo perfettamente nell’impostazione suggerita da Francesco Rutelli, ex-sindaco di Roma: basta con l’uomo solo al comando,l’abbiamo già visto per carità. È giusto che il sindaco sia la guida, il direttore d’orchestra. Quella che è fallita è la solitudine del comando. Ed è per questo che a mio avviso che prima di andare a scegliere i candidati, o assieme a questa scelta, a Roma e nelle altre città si dovrà andare verso l’identificazione di progetti, ma anche e soprattutto di squadre di governo, di personalità, di competenze, perché la solitudine ha dimostrato di avere fallito“.

Se posso dire, una logica più femminile che maschile.

diritti, Donne e Uomini, Femminismo, Politica, questione maschile Novembre 30, 2015

Giovanna Martelli, consigliera di Parità dimissionaria: “Troppa disattenzione ai temi delle donne”

Ho “litigato” spesso –rispettosamente- con Giovanna Martelli, consigliera di Parità del governo Renzi. Con rispetto anche maggiore guardo alle improvvise dimissioni dal suo incarico istituzionale nonché dal Pd (è entrata nel gruppo misto alla Camera). Da quel carro si scende malvolentieri –il flusso più cospicuo è in entrata- e dagli incarichi non si stacca mai nessuno.

Il casus belli: il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, Martelli aveva chiesto di anticipare il suo voto per l’elezione di 3 giudici della Consulta, in modo da poter partecipare a un incontro sulla violenza a Milano. Dopo un iniziale ok, il permesso viene negato via sms.

E’ la goccia che fa traboccare il vaso di una generale disattenzione sui temi delegati a Martelli: “Nel partito” dice “a queste cose si guarda con troppo sussiego. Si pensa che il 25 novembre sia solo una celebrazione retorica. Le donne del Pd mi hanno cercato solo dopo le mie dimissioni. Non esistono più le condizioni per lavorare”.

Anche se i nodi da affrontare non mancherebbero: il surplace senza fine sui diritti; i molti problemi delle donne su cui, ammette Martelli, “stiamo assistendo a veri passi indietro”: lavoro, gap salariale e pensionistico, servizi, salute, legge 194. Al governo più femminile di sempre non stanno corrispondendo, paradossalmente, passi avanti per la cittadinanza femminile.

Nella legge di stabilità (articolo 1, comma 334, gli stanziamenti per le Pari Opportunità subiscono un taglio di 2,8 milioni di euro l’anno nel triennio 2016-2018. Quindi dai 28 milioni previsti inizialmente per il 2016 (e ridotti a 25) si passerà a circa 17.500.000 nel 2018.

Preso in contropiede dalle dimissioni, il governo tenta il recupero. L’ex-consigliera alza il tiro: “Intendo porre precise condizioni”. Per esempio la re-istituzione di un Ministero per le pari opportunità?Non credo che sarebbe lo strumento più efficace” dice Martelli.

Al segnale lanciato da queste dimissioni -e alla “trattativa” che ne consegue- non stiamo prestando sufficiente attenzione.

 

 

 

 

Politica Novembre 23, 2015

Napoli, è nato ‘nu criature: Possibile, nuovo soggetto politico

Sabato 21 novembre, in una giornata storica per Napoli (la candidatura a ri-sindaco di Antonio Bassolino e l’addio a Don Luigi Condurro, noventaduenne maestro della storica pizzeria “Da Michele”), sull’Arenile di Bagnoli flagellato da marosi e libeccio è nato Possibile, nuovo soggetto politico fortemente voluto dal no-leader Pippo Civati (la fase congressuale si concluderà a febbraio).

Un migliaio tra partecipanti e delegati eletti dalle centinaia di comitati di tutte le regioni, età media più da concerti che da politica –stupefacente, di questi tempi-, molte donne –anche questo non scontato-, gran quantità di competenze e di giovani “professori”, libertà da schemi novecenteschi, clima creativo e da work in progress.

E’ nato “’nu criature” che non somiglia a nessuno e crea non pochi interrogativi: è rosso? è verde? è rosa come il suo logo? e come diavolo si comporterà?

Uguaglianza ma non egualitarismo, lavoro, casa, lotta alla povertà e reddito minimo, vera battaglia sull’evasione fiscale, decisa svolta ambientale, alternativa energetica, punto sui diritti, fine della questione maschile. Umori langeriani. Quanto alla guerra in corso: basta con la vendita di armi, e miglior cordinamento delle intelligence europee. Centralità del Sud, con tutto il suo potenziale inespresso. Forma: partito semi-liquido, con piattaforma web e indispensabili dotazioni virtuali – ma con i piedi solidamente piantati nei contesti, nei posti dove si vive e si lavora, si soffre, si cerca di essere felici, si costruiscono relazioni, dove già si stanno sperimentando buone pratiche e dove c’è sempre qualcosa di importante da fare (qui l’intervento di Civati).

(5 stelle di sinistra? si chiede qualcuno)

Un passo avanti, dalla retorica della partecipazione verso la pienezza della sovranità: il che poi non sarebbe un grande azzardo, essendo che la Costituzione lo prevede. Quindi un’assemblea sovrana e comitati locali altrettanto sovrani, coordinati tra loro per temi e progetti. La piramide gerarchica perde pezzi e si appiattisce in una forma reticolare con un segretario eletto, primus inter pares.

Ambizioni di governo ma nessun “vincismo”, e niente soluzioni politiciste calate dall’alto: per le prox amministrative, ad esempio, saranno i singoli contesti a decidere se, come e con chi, in una prospettiva di dialogo con i soggetti di sinistra, gli ambientalisti, i riformisti e i radicali interessati a un’idea di Italia che si distanzia dal mainstream governativo.

La proposta “nessuna alleanza con il Pd” è stata accolta dall’assemblea napoletana con un boato festoso e inequivocabile.

Politica Ottobre 7, 2015

Primarie Milano: il giocattolo si è rotto?

Il sindaco dimissionario Giuliano Pisapia

Milano: il giocattolo primarie è sul punto di rompersi. E la coalizione di centrosinistra garantita da Pisapia nei fatti non c’è più.

L’idea che gira è quella di una coalizione civica e di sinistra alternativa al Pd e che non partecipi alle primarie. Perché non faremo la loro foglia di fico” si è detto per esempio ieri sera in un’assemblea cittadina di Prc. “Il Pd non è più un partito di sinistra. Né si capisce perché tra i valori a cui ubbidire per partecipare alle primarie dovrebbe esserci il riconoscimento del successo di Expo”.

In effetti le primarie del 2011, che portarono alla trionfale elezione di Giuliano Pisapia, sembrano appartenere a un’altra era geologica: umori risorgimentali, antiberlusconiani e anitimorattiani, grande voglia di voltare pagina, partecipazione, appassionanti candidature civiche.

Stavolta è tutt’altra storia. I candidati sono tutti politici di professione e tutti del Pd. Il candidato-a “foglia di fico” per ora non si trova. Al momento le primarie restano una faccenda interna alla politica politicante. Addetti ai lavori e militanti a parte, la città è distratta e per nulla appassionata. Ma su questo fronte, a sinistra come a destra, non sembra intenzionata a tornare indietro e spera in un sindaco-a supercivico-a, preferibilmente legato al mondo del lavoro e delle professioni -la vera politica, forse anche la vera religione di Milano- e che non si sia formato nelle stanze dei partiti. O quanto meno un politico eretico, in grado di sparigliare.

D’altro canto i potenziali supercivici di cui si sente dire non sembrano minimamente intenzionati a sottoporsi al giogo delle primarie, che non riconoscono come il proprio campo di gioco, preferendo un libero Fuori Primarie.

A queste primarie, insomma, non sembra credere più nessuno. Matteo Renzi per primo, consapevole del fatto che al tavolo di Milano si gioca una partita nazionale, che riguarda anche il suo destino politico. Ma l’unica mossa che gli è consentita a quel tavolo è calare il suo asso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Politica Agosto 26, 2015

Sapessi com’è strano perdere consensi a Milano: Serracchiani, il Pd e i voti di CL

Debora Serracchiani ieri a Milano tra il segretario regionale Pd Alfieri (a sinistra) e il segretario cittadino Bussolati

In apertura della Festa Nazionale dell’Unità a Milano, la vicesegretaria Pd Debora Serracchiani ha così commentato l’entusiasmo del Meeting di Comunione e Liberazione per il premier Matteo Renzi: I voti di Comunione e Liberazione? E’ un’occasione per allargare il nostro consenso. Ci fa piacere quando una parte del Paese guarda al Pd non come a un problema ma come a una soluzione”.

A parte ogni possibile considerazione sulla mutazione genetica, antropologica e politica di Serracchiani, tema che forse meriterebbe un post a parte, colpisce moltissimo anzitutto un fatto: che di Milano la politica non–milanese continua a non capire un accidente di niente. Serracchiani perpetua la tradizione.

Venire a raccontare ai piddini milanesi, che della politica e dell’affarismo ciellino hanno ampia e consolidata esperienza, che in fondo i voti di Cielle al Pd non sarebbero un male, ha tutta l’aria di un atto suicida (unitamente al definitivo “vedremo” sulle primarie per il sindaco). Come parlare di corda in casa dell’impiccato. E infatti oggi circola molto malumore tra iscritti e militanti, che possono rassegnarsi a mandare giù Verdini, forse perfino Alfano, ma il Celeste Formigoni proprio no.

Forse, umilmente, la piccola Serracchiani avrebbe dovuto assumere qualche informazione in più sulla cittadina in cui stava comiziando, che non è proprio Butroto, o quanto meno consultarsi con la segreteria locale prima di slanciarsi sul Patto di Rimini, che sta vedendo il Pd lasciare non poche penne tra le aiuole dei Giardini Pubblici, sede della Festa.

Se poi il Pd pensa di accaparrarsi i voti di Cielle… be’, è molto più probabile che un’opa di Cielle si magni il Pd. Al Celeste non la si fa.

Su, usciamo da Rignano sull’Arno.

Politica Luglio 15, 2015

Milano è bella. La sua politica meno. E Del Debbio è un candidato temibile

A Milano la notizia politica del giorno sono due: le dimissioni della vicesindaca Ada Lucia De Cesaris e la possibile candidatura a sindaco per il centrodestra di Paolo Del Debbio, giornalista Mediaset già assessore della giunta Albertini. Candidato perfetto: precedente esperienza amministrativa e profilo televisivo e super-pop. Piace a tutte le componenti del centrodestra e chiede democraticamente le primarie, tanto sa che le vince.

Il fatto è che potrebbe vincere anche le elezioni: è piuttosto famoso, sa parlare alla pancia della gente, ha un’aria rassicurante, lontana dagli estremismi salviniani. Insomma, sembra fatto apposta. Ero sicura che la scelta del centrodestra sarebbe stata di questo tipo: ragionevole e televisionabile.

Ho incontrato per caso nel fine settimana il neoassessore all’ambiente della giunta Toti in Liguria, Giacomo Raul Giampedrone. Uomo giovane, fattivo, ambizioso, eccitato dal grande spirito unitario -anche solo tattico- che si respira in regione e che sta prendendo piede un po’ ovunque nel centrodestra, in preparazione delle nuove sfide elettorali.

Nel frattempo il centrosinistra è triturato, la prospettiva ventennale di Matteo Renzi -colpa solo sua- si è ridotta a un biennio, non ne imbrocca una neanche a piangere, manda i capataz al Nord a fare disastri -l’ex-sindaco di Lodi che dà ordini a Milano! Roba da Cinque Giornate-, e lo “spara a Renzi” potrebbe diventare la specialità delle prossime amministrative, stile Venezia. Le primarie si faranno, anzi no. Si faranno a dicembre o gennaio, anzi no, vanno fatte subito. I candidati saranno due, 18, 50. Il sindaco ha annunciato dimissioni un anno prima, e la giunta lavora con l’affanno da campagna. E la vicesindaca De Cesaris pensa bene di dimettersi: gesto non esattamente responsabile, se vogliamo, con un sindaco già dimissionario. Mezzo Pd le vota contro su un’area cani da 20 mila euro, lei si imbufalisce definitivamente e sbatte la porta. Un pezzo del Pd esulta, la dirigenza la supplica di restare, le reazioni in giunta sono tra l’indignato e il tiepido, dicono che lei voleva candidarsi sindaca ma non è stata sostenuta, e ora che cosa farà? Ci proverà lo stesso? oppure no? Quante liste civiche ci saranno? E quante liste civetta? Insomma, un vero rebelot, come si dice con un francesismo dialettale.

Amiche e amici romani, del Sud, di ogni dove, che mi dicono: Milano è bella. E’ la prima volta, in tanti anni, che me lo sento dire. Ieri sera sono stata a una festa dance nello spirito della storica discoteca Viridis. Un caldo atroce, tanti vecchi amici, una strepitosa vitalità. La città è in gran forma, nevrile, allegra, i motori al massimo, finalmente un ciclo positivo, clima anni Sessanta. Verrebbe voglia di passarci l’estate, come la si passa a Londra e NY, non c’è modo di annoiarsi, a parte il gran caldo spiace partire.

Basterebbe dire questo: Milano è bella, ora fateci finire il lavoro. Per farla diventare ancora più bella. Per dedicarci a quelle che cretinamente si continuano a chiamare periferie, valorizzando il bello che già c’è e portandocene di nuovo. Facendo di Milano una metropoli modello. Siamo sulla buona strada, è cominciato un nuovo ciclo virtuoso. Basterebbe questo, e una riduzione complessiva del tasso dei narcisismi, vera peste della politica.

Il tempo per cambiare musica è pochissimo.

 

16 luglio: ottimo commento dell’amico Ivan Berni, La Repubblica

DE CESARIS, L’IRRESPONSABILITA’ DELL’AMBIZIONE

Da Repubblica, Milano, 16 luglio 2015

Le dimissioni della vicesindaco e assessore all’urbanistica Ada Lucia De Cesaris sono un guaio molto serio. Lo sono per la forma, i tempi e la sostanza, tuttora misteriosa, a meno di considerare una ragione seria il voto del Pd su un’area per i cani a Santa Giulia, alla quale De Cesaris era contraria. Sono un guaio per il centrosinistra milanese, per Il credito del sindaco uscente Giuliano Pisapia e lo sono per una città che deve fare i conti con il dopo Expo, la grande partita delle aree Fs, la destinazione dell’ex trotto a San Siro, i docks della Stazione centrale, i progetti sulle aree ex Enel al Monumentale. Una città che fra dieci mesi dovrà votare per la nuova amministrazione di Palazzo Marino. Pisapia deve metterci una pezza rapidamente, aprendo un confronto aperto con la città sui grandi nodi irrisolti dell’urbanistica e dando un segnale di saldezza. Ma sia che il sindaco riesca a convincere De Cesaris a tornare sui suoi passi sia che nomini un nuovo responsabile dell’Urbanistica, un danno enorme è già stato fatto. L’uscita di scena della vicesindaco ha infatti incrinato pesantemente la credibilità dell’amministrazione su due punti chiave: l’affidabilità e la responsabilità. La destra se n’è accorta e infatti brinda. Sul primo punto vale poco o nulla dire, come è stato fatto, che sull’urbanistica “il lavoro è stato completato”. Non è così, con tutta evidenza, considerando non solo le urgenze come il dopo Expo, (che scatta dal 31 ottobre di quest’anno, non nella prossima legislatura) ma anche la quantità di progetti che attendono scelte definite e di problemi tuttora aperti. Quanto alla responsabilità c’è da rimanere attoniti di fronte alle motivazioni fornite da De Cesaris sulle dimissioni. Sarebbe venuto a “mancare il rapporto di fiducia” con una parte della maggioranza. Per l’area cani a Santa Giulia? Ma se si tratta di questo c’è da domandarsi di cosa sia fatta la fiducia di cui lamenta il crollo l’ex vicesindaco. Chi governa con responsabilità di primissimo piano una città come Milano non può (non dovrebbe, si intende) abbandonare l’incarico per una quisquilia simile. E se lo fa vuol dire, banalmente, che si tratta della persona sbagliata al posto sbagliato. Ma se c’è dell’altro occorrono spiegazioni pubbliche. Senza reticenze o titubanze di sorta. Dica l’avvocato De Cesaris a proposito di cosa, quando e in che circostanze sarebbe crollata la fiducia. Lo dica subito, bloccando la spirale dei sospetti e anche una grottesca corsa alla solidarietà che si sta sviluppando in questi giorni sui social network, per cui c’è chi la rimpiange aggiungendo che senz’altro ci sarà una buona ragione per andarsene, che tuttavia rimane oscura.
In realtà trapela in controluce un’altra spiegazione di questo vero e proprio colpo di teatro. De Cesaris, che ha lavorato moltissimo in questi anni prendendosi sulle spalle anche responsabilità istituzionali, avrebbe voluto, in qualche modo, una sorta di benedizione da parte di Pisapia come naturale erede per la prossima legislatura. Avrebbe voluto partecipare alle primarie con questa investitura. Ma la benedizione non è arrivata e, di settimana in settimana, la convivenza in giunta con l’assessore-candidato Majorino si è fatta sempre più tesa. Di qui l’escalation dell’insofferenza. Fino alle clamorose dimissioni di martedì. Dimissioni che equivalgono a un’uscita di scena dal proscenio politico milanese, dato che a questo punto riesce difficile immaginare De Cesaris candidata a qualsiasi incarico elettivo dopo una simile sceneggiata. Ma del resto l’avvocato De Cesaris eletta non lo è stata mai: in giunta entrò da assessore “tecnico” per scelta del sindaco. Forse, se avesse dovuto rendere conto ai propri elettori, sarebbe andata diversamente.

Ivan Berni

 

Politica Giugno 15, 2015

Venezia: la sconfitta di Casson e i 5 Stelle Non-Podemos

Qualche considerazione sull’amara sconfitta di Felice Casson, magistrato integerrimo, scopritore di Gladio, in lotta contro la corruzione e contro gli avvelenatori di Porto Marghera e candidato sindaco del centrosinistra a Venezia.

1. Casson ha perso perché ha perso il Pd (-12 punti percentuali), diventando il terzo partito a Venezia. La città va al centrodestra di Luigi Brugnaro, detto il Berluschino -da alcuni anche il Renzino- con il 53.2 per cento dei consensi contro il 46.7 di Casson.

2. dopo più di vent’anni di amministrazione di centrosinistra il Pd cola a picco per almeno due ragioni: una locale, lo scandalo Mose che ha travolto il sindaco di centrosinistra Giorgio Orsoni, costato ai veneziani l’umiliazione bruciante del commissariamento; una nazionale: l’ardita operazione renziana del Partito-Nazione non paga. Quando la destra, come qui e nel caso ligure, è coesa e unita, si riprende i suoi voti. Tra la copia e l’originale sceglie l’originale. Il Partito-Nazione quindi perde sia a destra sia a sinistra, fermandosi a Venezia a un miserabile 16 per cento (il Pd perde anche la roccaforte di Arezzo, Nuoro, Matera, Chieti, Lamezia Terme e Fermo).

3. Casson avrebbe potuto vincere al ballottaggio se il M5Stelle lo avesse sostenuto. Ma non è bastato che Casson sottoscrivesse i 5 punti proposti dai grillini, e che si impegnasse contro le grandi navi in Laguna. Il M5Stelle ha scelto nuovamente il no. L’effetto Podemos (la nuova sindaca di Madrid Manuela Carmena governa grazie all’alleanza tra Podemos e i socialisti) non c’è stato. Il M5Stelle non è Podemos, o meglio, il M5Stelle è Non-Podemos, inchiodato al negazionismo infantile di una fase destruens che non si chiude mai, all’inseguimento di un onnipotente maggioranza assoluta. Per chi continua a pensare ai 5 Stelle come a una formazione di sinistra -nonostante le sue dichiarate simpatie per l’ultradestra di Farage- è la definitiva disillusione.

4. Casson -forse- avrebbe potuto vincere se l’astensionismo non avesse raggiunto il 50 per cento: metà delle veneziane e dei veneziani non è andata a votare. A livello nazionale è andata anche peggio, i votanti sono ormai la minoranza dei cittadini, sotto il 50 per cento, nonostante la battaglia per il sindaco sia politicamente tra le più coinvolgenti. Quindi più di un elettore su due non va a votare. E non è difficile capire perché, con particolare riguardo al Pd: se la gente ti vota su un programma e tu ne realizzi un altro, se diventa chiaro che la voce e la volontà e il voto dei cittadini non contano un accidente di niente, se è proprio il partito dei lavoratori a tirarti la sberla dell’abolizione dell’art. 18, be’, anziché alle urne meglio andare a farsi un onesto spritz (o, a Matera, un piatto di lagane e ceci). 

Politica Maggio 13, 2015

Candidare gli impresentabili = far fuori i presentabili

 

Vincenzo De Leo, Fronte Nazionale: candidato in “Campania in rete” a sostegno del Pd Vincenzo De Luca

Amiche e amici, io non capisco. Se io mi volessi candidare -ma vale per chiunque di voi- alle elezioni politiche, o regionali, o amministrative, la cosa non sarebbe affatto facile. Non sono una perfetta sconosciuta, la mia fedina penale è immacolata, mi sono sempre guadagnata la vita da sola, studiando e lavorando sodo, senza favoritismi, raccomandazioni, parentele, compromessi o letti (passaggio sempre favorente).

Da sempre mi anima una furente passione per il mondo. In assoluto spirito di servizio -andare a Roma non mi interessava affatto- mi sono pure candidata, anzi mi hanno candidato a forza da ragazzina in ordine alfabetico nelle Liste Verdi di Alex Langer. E pur non essendomi sognata di fare la minima campagna elettorale, ho preso un bel po’ di voti e ho rischiato l’elezione: la mia vita sarebbe stata diversa, quasi certamente peggiore di quella che ho avuto. Eppure se oggi volessi candidarmi in una qualunque competizione elettorale, ripeto: non sarebbe facile per nulla.

Non sono una signora o signorina delle tessere, non sono presenzialista, sono antimondana, vivo in periferia, non svolazzo come una farfalla impazzita da un presidio a una manifestazione a un’inaugurazione a un convegno, credo pochissimo al professionismo e al carrierismo politico. Penso che in politica servano abnegazione, fatica, bassi emolumenti, buone idee, voglia di studiare e lavorare, non bollini di presenza tipo punti Fragola. Sono un’outsider, oggetto di regolare conventio ad excludendum da parte di ogni lobby di insider. In più sono una donna, e non di quelle che si possano cooptare, ubbidisco solo alla mia coscienza e di sicuro non ho un carattere facile, come spesso chi nella sua vita ha dovuto lottare parecchio. Insomma, una vera rompicoglioni. Non sarei male, come candidata, eppure -a parte Langer: ma quello era proprio un altro mondo- nessuno ha mai pensato di propormelo.

La lunga premessa per dire che entrare in una lista elettorale non è cosa semplice, per me come per tutti, e in particolare per tutte. Ora, io vorrei sapere come mai invece la cosa è piuttosto semplice per un gran numero di indagati, pregiudicati, trasformisti, traditori, voltagabbana, fascisti, raccomandati, parenti, amici dei camorristi o eventualmente camorristi in proprio (oltre a incapaci, mediocri, ambiziosetti, frequentatrici di letti e così via). In particolare mi riferisco a quelli ( e anche a qualche quella) che stanno in liste a sostegno di candidati governatori Pd in molte regioni che il 31 maggio andranno al voto. Per esempio Campania, Puglia, ma pure Liguria, e perfino Toscana e Veneto, dove furoreggia un ex-leghista anti-culattoni.

Ora, amiche e amici, molte e molti di voi riterranno la mia domanda retorica o ingenua: ma io dico che il giorno in cui farsi questa domanda non sarà più possibile, ebbene, quel giorno ogni speranza sarà perduta.

Rispondendo indirettamente a Roberto Saviano, pur senza mai nominarlo, il premier Matteo Renzi è stato costretto ad ammettere che certi nomi non li voterebbe nemmeno lui. Toppa peggio del buco, perché essendo il premier uomo a cui non sfugge nulla, con una evidente passione per le candidature bloccate (ergo, decido io e solo io chi va dove e a fare che cosa: “L’Italicum” scrive oggi Aldo Cazzullo sul Corriere “garantisce la governabilità, non la rappresentanza“), è davvero strano che non si sia accorto per tempo di quello che stava capitando, o quanto meno che qualcuno non l’abbia avvisato per tempo (chi? e chiunque sia, sarà chiamato a risponderne?) La sensazione piuttosto è che l’abbia lasciato capitare, democristianicissimo turamento di naso con supercazzola -presentiamo pure gli impresentabili- sperando che solo pochi se ne accorgessero, perché quei voti puzzeranno anche ma in certi territori non c’è altro modo per aggiudicarsi il consenso e vincere. Il fatto è che per disgrazia se n’è accorto Roberto Saviano, che a quanto pare va bene come ospite dell’antimafia retorica inutile à la Fazio, ma va molto meno bene quando mette i piedi nel piatto in cui ci si accinge a mangiare (voglio vedere se Fazio lo invita a parlarne).

Una volta si andava alle urne con il santino del candidato da votare. Oggi tocca andarci con la lenzuolata di quelli da NON votare.

Politica Maggio 7, 2015

Pippo’s Project

Il travaglio di Pippo Civati è stato lungo, doloroso e sbeffeggiato. Non si molla da un giorno all’altro qualcosa che è stata la tua vita. Ora il travaglio si è concluso, e a sentirsi poco bene sono tanti altri, in un partito, il Pd, che in forza della governabilità –nessun dubbio sul fatto che il Paese debba essere governato-, ha ridefinito un passo dopo l’altro i suoi fondamentali in direzione di un blairismo all’italiana. Si tratterà di capire se e quanto si sono ridefiniti anche i suoi elettori: la grande manifestazione dei prof contro la “buona scuola” (slogan: “Renzi + Giannini peggio di Gelmini”), qualche dubbio lo autorizza. Perfino nel premier che, forse per la prima volta, si allarma di fronte al rischio di emorragia di consensi e si vede costretto a un parziale marcia indietro.

Primo banco di prova per Civati, fra 3 settimane, le regionali liguri: un successo del progetto Rete a Sinistra per Pastorino presidente potrebbe delineare il perimetro e il potenziale di una Podemos italiana. I temi ci sono già tutti: ambiente –la situazione in Liguria è drammatica, dopo anni e anni di partito trasversale del cemento, e non è ancora finita-, e poi lavoro e diritti. Temi liguri e nazionali, inestricabili l’uno dagli altri.

Il rischio zero-virgola per un nuovo progetto politico è direttamente proporzionale agli Ingroia e ad altri personaggi già prontissimi a scendere dal carro perdente per farne perdere un altro. Eterno riciclo degli uguali.

In Italia il posto di Podemos è già abbondantemente occupato dai 5 Stelle, al netto delle relazioni pericolose con Farage. Poi c’è il civismo “risorgimentale” milanese, senz’altro il più interessante tra i nuovi prodotti politici (come sempre, del tutto incompreso a Roma), con l’aspirazione del sindaco uscente (o rientrante) Pisapia a farne un prodotto politico nazionale. Se la Liguria sarà il primo banco di prova, Milano dovrebbe essere il secondo.

La scena mi pare questa.

L’ho già detto, ridico come la penso: come l’Angelus Novus di Walter Benjamin, si tratterebbe di abbandonare le rovine, anche le proprie, un’idea pavloviana di sinistra con le sue parole d’ordine inutilizzabili, i suoi rituali consumati, le sue logiche inservibili, la volgarità dei suoi laicismi, le sue barbe e le sue maschere. Di mettere al centro la “natura” sacrificata, il femminile del mondo, la mitezza, la pace e la cura di tutto ciò che è piccolo e dipende da noi, e di garantire a ciascuno ciò di cui ha bisogno per una buona vita, che è molto più dell’uguaglianza.