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esperienze, Politica, TEMPI MODERNI Maggio 30, 2011

IN PIAZZA E IN RETE

Mentre aspettiamo di sapere di che morte dovremo morire – di che vita vivere- vi segnalo dalla Spagna questa interessante intervista realizzata dalla nostra amica Giusi Garigali, a cui in questi giorni sto “delegando” le vicende di Spagna, con Luis Ángel Fernández Hermana, uno dei maggiori esperti di reti sociali virtuali in Spagna.

Luis Ángel Fernández Hermana ha un CV sterminato, ovviamente leggibile in rete. È stato uno dei primi a studiare gli elementi concettuali per comprendere la “gestione della conoscenza in rete”. È divulgatore scientifico, giornalista (è stato corrispondente scientifico del Periodico de Catalunya ed ha lavorato anche per la BBC a Londra), consigliere editoriale per varie ha case editrici ed impartisce anche corsi e conferenze nelle maggiori università spagnole e dell’America Latina.

L’intervista offre strumenti utili anche per leggere lo scenario italiano (e le cose che stanno capitando a Milano).

G. Partendo da quanto è accaduto oggi, e cioè dalla sensazione che tutto avrebbe potuto concludersi con lo sgombero della piazza (e invece i manifestanti sono ancora lì) vorrei sapere da te: il futuro di questo movimento risiede di più nella capacità di mantenere la piazza o nella capacità reale di strutturarsi in rete, in un modo tale che si riesca a veicolare l’informazione che si crea e mantenere così in vita il movimento?

LA: Ci sono un paio di concetti che devono essere chiariti a mio giudizio.
1) L’acampada (occupazione) e il movimento non sono la stessa cosa. L’acampada risponde ad una logica propria, il movimento è invece costituito da un flusso di idee che possono sopravvivere alla stessa acampada o a qualsiasi altra cosa.
2) Il problema della strutturazione si pone solo per noi che ragioniamo ancora secondo criteri antichi, gente di una certa età che sa quanto sia importante “strutturare”. Ma l’impressione che ho, invece, è che stiamo attraversando un periodo storico caratterizzato da “movimenti destrutturati”. Otterranno qualcosa? Non si sa, perché nessuno sa esattamente cosa sia un movimento “destrutturato”, ma a ben vedere tutti quei movimenti destrutturati che hanno cominciato in rete e che sono poi arrivati a produrre puntuali azioni dimostrative, in realtà hanno già ottenuto delle cose, anche se evidentemente non hanno raggiunto il potere, non hanno governato nel senso classico in cui noi tutti pensiamo. Ma hanno modificato moltissime cose, in tutto il mondo. La teoria politica questo non lo riconosce ancora, non lo considera, semplicemente perché pensa secondo dei parametri che qui non si danno.
Per esempio, già nell’anno 1999, in un modo assolutamente inaspettato, apparvero a Seattle 60.000 persone che circondarono il luogo in cui si sarebbe svolta la prima riunione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio ed impedirono che questa si svolgesse. Ci furono delle battaglie campali tremende. Le persone che partecipavano a questa protesta non superavano i 30 anni d’età e dicevano di stare lì per fermare l’Organizzazione Mondiale del Commercio, il FMI e la Banca Mondiale. Nell’anno ’99, a parte coloro che ci lavoravano, nessuno sapeva nulla di queste organizzazioni. Queste persone avevano invece conoscenze profonde su questi temi, non trattati comunemente dai mezzi di informazione. Chi aveva dato loro questa informazione? In realtà era già dal 1992 (cioè da 7 anni) che in rete si stava discutendo proprio di questo, a partire dalla Conferenza sull’ambiente di Rio de Janeiro del 1992. Da qui nascerà, poi, il movimento antiglobalizzazione (che è in realtà una parola sbagliata perché si tratta di un movimento globalizzatore), che crea gli eventi del Foro Mondiale Sociale e che cambia molte cose in vari paesi, pur non prendendo il potere. Infatti, ha cambiato il modo di fare politica in molte città. Ecco, qui ci troviamo davanti a uno scenario in cui le forme passate di fare politica già non esistono più, non esistono più forme strutturate organizzate che vogliono arrivare a gestire il potere come i partiti.

G. Sì ma anche nel passato avevamo assistito alla nascita di movimenti con caratteristiche simili, con la differenza che prima non esisteva la rete. A me sembra che determinate rivendicazioni un po’ fumose, generiche, utopiche – ma assolutamente condivisibili – siano già state presenti nei movimenti del passato e quindi mi risulta difficile capire dove è la novità, se c’è novità…

LA. La novità è che questo movimento in realtà, malgrado le apparenze, è iper organizzato, si organizza costantemente, ma in maniera differente rispetto a quella che noi consideriamo l’organizzazione tradizionale. Si organizza e si “disorganizza” permanentemente. Noi non lo capiamo perché ancora ragioniamo con i vecchi parametri, e pensiamo che ogni forma di organizzazione debba puntare a un solo obiettivo preciso. Invece, questo movimento ha molteplici obbiettivi e la massa degli attivisti si sposta in pochi minuti da uno all’altro… Questa è ovviamente una caratteristica favorita da Internet, ma il movimento non è così solo per Internet, perché al giorno d’oggi la gente fa cose di questo tipo anche nella propria vita quotidiana. La trasversalità è una caratteristica altrettanto importante che andare dritti verso l’obiettivo, ed è la negazione della logica dei partiti politici. Non c’è più un abbozzo di cosa vogliamo fare per vivere meglio, ma sappiamo cosa ci fa stare male e che un sacco di cose devono cambiare perché producono solo infelicità…

G. A me comunque risulta difficile capire dove sta il passo più in là…

LA. È che al momento attuale non c’è un passo in più, in questo momento si tratta di capire cosa succederà, come ci si strutturerà… Questo movimento non ha un solo centro ha più centri e per questo è difficile da comprendere. Le idee che vengono alla luce escono direttamente dalla pancia di Internet e da fuori non si riescono a comprendere. Per esempio: non si comprendono i criteri secondo i quali certe azioni vengono poi considerate veritiere, e quindi producono consenso e partecipazione, e altre no. Quale sia la logica che governa tutto questo e come si possano mettere d’accordo migliaia di persone in Internet sulla validità di un’azione piuttosto che di un’altra rimane un mistero. Si tratta di fenomeni oscuri ancora non studiati.
Negli Stati Uniti tempo fa, proprio per provare l’esistenza di questo principio, si era messo in moto quello che si chiamava la capacità di convocare le “moltitudini intelligenti”. Ci si davano degli appuntamenti apparentemente assurdi, via Internet, cui effettivamente la gente andava. Per esempio ci si dava appuntamento, in mutande, in un certo luogo e la gente ci andava, e dopo 10 minuti tornava alle proprie occupazioni (stiamo parlando di 150.000 persone mobilitate). Come potevano sapere che si trattava di una convocazione veritiera e non falsa? Non lo sappiamo, perché ancora non sono state studiate le strutture interne alle organizzazioni in Internet. Sappiamo perfettamente come funzionano i partiti politici, le imprese, i sindacati eccetera. Tutte queste entità hanno una struttura verticale che ci è facile da comprendere. Ma il potere delle organizzazioni in Internet è ancora un mistero. Democracia real ya (la piattaforma che ha originato il movimento 15M) aveva una semplice pagina Fb, ma il giorno in cui si decise di scendere in piazza si presentarono 15.000 persone… E al giorno d’oggi non c’è modo che i sociologi, politologi, filosofi comprendano cosa è successo. Questo perché non si sono spogliati del loro abito mentale e continuano a ragionare secondo degli schemi ormai superati. Perché questi fenomeni sono altamente destrutturati, però hanno una propria dinamica interna che gli permette di coordinarsi, di puntare per esempio ad occupare nella vita presenziale delle zone di prestigio che gli consentono di avere visibilità e di dare visibilità alle proprie idee…

G. Scusa ma non è che, allora, possiamo dire che in questo caso Internet consente di amplificare un malessere, una frustrazione presenti all’interno della massa? Questi sentimenti sono sempre esistiti, ma prima era difficile esprimerli in maniera così evidente e rapida per una mancanza di mezzi che invece adesso permettono di ottenere proprio questo risultato, o no?

R. Sì, certamente, tutto quello che dici è vero, ma la Rete non amplifica soltanto il malcontento etc., lo organizza e, ripeto, questa organizzazione non è l’organizzazione tradizionale che conosciamo…  Purtroppo negli ambienti accademici non c’è sensibilità, non c’è interesse rispetto a questi temi… Adesso quello che si sta studiando è l’aspetto presenziale di questo movimento, quello che si vede in piazza, mentre il grosso che dovrebbe essere studiato è tutto quello che si muove e circola in rete. Ed è qui che ci sbagliamo, perché stiamo ignorando la parte più nuova del processo. E soprattutto perché altre cose simili di pari importanza stanno già avvenendo in Internet, succedono costantemente…

G.  In buona sostanza possiamo dire che è molto più facile parlare di quello che accade in piazza – e infatti le televisioni, le radio, i corrispondenti dei giornali si trovano lì – ma in realtà le cose più importanti e cariche di novità sono quelle che accadono in rete e sono pochi coloro che cercano di capire o almeno di sviluppare una certa sensibilità al riguardo…

LA  Non sappiamo in realtà come si usa la rete per ottenere certi risultati… E questo è l’aspetto che si dovrebbe studiare.. Non abbiamo idea di dove sta la capacità di organizzazione di tutto quello che poi accade anche nella piazza e poiché vediamo Internet come qualcosa di piatto e non abbiamo gli strumenti per “qualificare” un tweet o un mail diciamo: “Twitter” è stato importantissimo. E sbagliamo. Infatti non è stato importantissimo Twitter, ma l’uso che se ne è fatto. Ma chi sono questi che usano T? Non lo sappiamo. Potrebbero essere qualsiasi cosa… Sicuramente l’impulso che nasce in rete poi si ripercuote sul resto delle persone che partecipano…
Lo ribadisco: l’elemento più importante di Internet è l’organizzazione. La capacità di organizzare, senza dover investire quasi nulla a livello di energie tanto economiche come mentali. Oggigiorno si possono organizzare cose incredibili a costo zero.
Ed è questa capacità che si dovrebbe studiare a fondo… Parliamo senz’altro di un’organizzazione fondata sul testo, sulla parola… E quello che bisognerebbe studiare è come circola la parola, come circola il testo. In un partito politico, in un movimento rivoluzionario, in un’impresa, in un sindacato, non è necessario studiare. Fai una radiografia dell’organigramma di queste entità e saprai perfettamente come funziona questa organizzazione. Ma qui devi analizzare la parola e noi non siamo preparati ad analizzare la parola e ancor meno a capire come la parola possa avere questo peso in tutto il processo dell’organizzazione. Per questo Internet cambia completamente le regole del gioco. Internet ti dice: se tu parli bene, se sai con chi parli, organizzi. Ritorniamo dunque all’esempio dell’inizio, di quando parlavamo di Seattle. Tutto quel movimento è evoluto nel Foro Sociale Mondiale, che si è dato appuntamento in Kenya, New Delhi, Porto Alegre, eventi cui hanno partecipato 200.000 persone, inclusi intellettuali di tutto il mondo… Questo, prima di Internet, sarebbe stato impensabile… E questo lo hanno organizzato persone “qualsiasi” che non hanno un’identità precisa. Abbiamo saputo sempre chi c’era all’inizio di ogni movimento o partito politico. Bene questo è scomparso per sempre.

G. Ma non pensi che anche all’origine di altri movimenti nel passato ci siano stati elementi anonimi?

LA No, perché secondo me anche i movimenti più apparentemente spontanei del passato hanno avuto sempre degli ideologi chiari di riferimento. Qui non c’è nessuno. Nel ’99 a Seattle non c’era nessuno. Nelle elezioni che il PP perde nel 2004 non c’è nessuno. Perché mancano anche di ideologia strutturata, infatti c’è solo l’idea di andare “contro”, non c’è una proposta ideologica…

G. E dunque tornando alla piazza, quando sarà abbandonata, e in mancanza di referenti chiari e importanti, cosa resterà?

LA. Rimane il fatto che, entrando nella piazza virtuale, si potranno continuare a creare nuovi referenti, costantemente. Negli altri movimenti, invece, i referenti c’erano già dall’inizio, potevi semplicemente limitarti a seguirli entrando a far parte del movimento. Qui no: non sei solo parte del movimento sei parte del tutto, anche dei referenti…

G. Si tratta cioè di processi molto più democratici…

LA. Tu stesso puoi dare vita all’ideologia, puoi fare le tue riflessioni e la gente le appoggerà se considererà che sono valide e le rinvierà a 200.000 persone. Questo prima era impensabile…

G. Tutto questo mi sembra fantastico e mi sembra inoltre che questa circolazione di idee che si organizzano e si selezionano spontaneamente incentivi, in un certo senso, la presa di coscienza individuale e una embrionale assunzione di responsabilità di tutti i soggetti coinvolti, ma quando torniamo alla realtà presenziale e la gente si scontra con i gravi problemi non risolti della vita di tutti giorni, che succede?

LA. Be’, nel passato l’incomprensione di questo ha portato anche a derive totalitarie. In questo momento, e rispetto alle rivendicazioni di questo movimento in concreto, cosa possiamo dire? Conosciamo solo la loro protesta, non sappiamo (e non lo sanno neanche loro) se vogliono davvero distruggere il potere. Ma quello che sanno è che hanno 3 o 4 rivendicazioni che si scontrano frontalmente con l’attuale organizzazione del potere. Se non saranno capaci di metterla in gioco sul serio non otterranno mai nulla, ma se son capaci di farlo ci sarà un passo in avanti…

G. Dunque, in conclusione, secondo quello che dicevi, la mancanza di leadership è una novità assoluta, ma in un mondo strutturato in questo modo come si potranno canalizzare in maniera proficua le rivendicazioni di cui si parlava prima?

LA. Già sappiamo cosa significa andare contro il potere con organizzazioni strutturate in forma piramidale e sappiamo già a cosa può portare. L’altro, il nuovo che si dà è tutto da giocare. Quello che tu dicevi prima sulla responsabilità individuale… Nella logica della vecchia politica di questo si parla poco e, invece, è quello che la gente fa sempre di più. La gente pretende dall’altro una coerenza e responsabilità “sociale” che ha a che vedere con la propria. Per questo l’organizzazione piramidale non è più attuale.

G. Potremmo dire che questo movimento ci sta dicendo chiaramente che il potere, così come lo conosciamo in tutte le sue manifestazioni (politica, imprenditoriale, sindacale etc.) deve capire che la sua relazione con le persone non può più essere a senso unico (cioè dalla base della piramide verso la parte più alta che dirige), ma deve trasformarsi, cominciando a fare proprie le richieste che vengono dalla base? Che le relazioni devono diventare biunivoche, che bisogna tener conto di ciò che dice e chiede la gente, che si organizza ed esprime chiaramente, attraverso Internet, e può palesarsi, puntualmente, in azioni concrete? Potrebbe essere questa la sintesi? Una capacità di trasformazione delle strutture del potere a partire dal riconoscimento di cittadinanza dei desideri delle persone? Potrebbe essere questo un buon punto d’arrivo?

LA. Sì, sono d’accordo al 100 per cento, ma credo che coloro che stanno in cima alla piramide non sapranno fare questa operazione, malgrado in Internet questo sia già realtà. In Internet la gente si relaziona orizzontalmente, in base ai propri interessi. Lì le gerarchie sono già state annullate da tempo.


Politica, TEMPI MODERNI Maggio 12, 2011

FATEMI UN PIACERE PERSONALE

Amiche e amici, vi tengo compagnia come posso, ogni giorno siamo qui a discutere insieme, anche la sera, il sabato, la domenica, le feste comandate e in piena estate. Potreste ricambiarmi con un favore personale?

Andate a votare. A Milano, Torino, Bologna, Napoli, Cosenza, ecc.: andateci.

Massimo rispetto per l’astensione, ci sono circostanze in cui è la cosa giusta. Ma questa volta non lo sarebbe. Frugate nel cassetto del comodino -io lo tengo nella credenza-,  tirate fuori il certificato elettorale, verificate la scadenza della carta di identità, e andateci, domenica o lunedì mattina. E vi dirò di più: fate in modo che il vostro voto sia un supervoto, indicate anche una candidata o un candidatoscrivendo il suo nome in corrispondenza della lista che scegliete. Voi sapete che alle politiche non si può scegliere, le liste sono bloccate, non perdiamo l’abitudine a farlo anche quando si può. La persona giusta conta forse più del partito giusto.

Non ne potete più della politica, vediamo tutti cose stomachevoli, ma ne vedremo anche di più se riununciamo alla piccola ed enorme prerogativa di scegliere. La vostra passione politica è sfibrata, appannata, infiacchita, sopita. Ma c’è: una delle nostre pregevoli caratteristiche di italiani è una grande attenzione a quello che capita politicamente, forse con una discutibile propensione alla rissosità. ma siamo animali a sangue politicamente caldo.

Andate a votare, perciò. E anzi, vi chiedo di più: datevi in questi due giorni l’obiettivo di convincerne almeno un altro, oltre a voi stessi. E farete il capolavoro se riuscirete a convincerlo a votare dalla parte giusta (se no lasciate stare, grazie).

E qual è la parte giusta? Io non lo dirò oltre, l’ho detto in abbondanza, e quel minimo di par condicio la devo pur rispettare. Se proprio non vi sovviene e vi interessa saperlo, fatevi un giretto in questo blog. Io so dove ci sono persone oneste, generose, capaci, in spirito di servizio, che non vogliono trarre un profitto personale dalla loro elezione, che non avrebbero nessuna ragione di prendersi questa rogna, perché la loro vita è già piena, la loro professione è già avviata… eppure lo fanno. Ne indicherò una.

Andate a votare, amiche e amici. Facciamo insieme questa parte significativa del nostro mestiere di cittadini,

Ne vale quasi sempre la pena. Ma stavolta di più.

Donne e Uomini, Politica Novembre 23, 2010

CONDIVIDERE, PREGO

Care amiche (e pure amici),

a breve in alcune città si andrà al voto amministrativo, e il voto politico non è lontano. Tanto vale che ne parliamo adesso. Avendo occasionalmente messo il naso in queste faccende, vi avviso che non c’è ragione di ritenere che la democrazia dimezzata, specialità per cui siamo famosi nel mondo, andrà in pari. Anche stavolta, con gli argomenti più speciosi, si pretenderà che a rappresentare e governare donne e uomini siano solo uomini.

L’ho visto da vicino. Nella costruzione del consenso terranno conto di tutto, i cattolici e i gay, i commercianti e i ciclisti, i cacciatori e le gattare. Le liste elettorali medieranno tra spinte e controspinte, navigando a vista nel gioco delle correnti. E solo alla fine, obtorto collo -la “questione” si tiene per ultima, come uno spinosissimo punto di programma- qualcuno lo dirà: e le donne?

La politica monosex non ci ha impedito di andare avanti. Ora lo sta facendo. E’ diventato un problema, per tutti e per tutte. Non risolveremo certo tutti i nostri guai, portando lì il doppio sguardo di donne e uomini, ma la politica sarà di sicuro più utile e meno nociva.

Il momento è adesso. Le donne che stanno già dentro i partiti vigilino e lottino. Non formule fumose, ma posti: nelle liste, al governo, negli snodi chiave dell’amministrazione. Quelle che hanno voglia di entrare in politica ci entrino, e quelle che vogliono candidarsi si candidino, sulla base del loro desiderio e delle loro competenze. Nessuna automoderazione. Sono autorizzate a farlo.

C’è anche una minima, neanche così minima, che è questa: non votare più liste dalle quali non si evinca con chiarezza che il mondo è fatto di donne e di uomini. Ma le liste non bastano: deve essere chiaro quanti e quali posti. Non votare e invitare viralmente altre e altri a non votare. E chiarire le proprie intenzioni da subito, in modo che si diano una regolata.

Condividere, prego (così sono costretti a “condividere” anche loro).

Politica Maggio 29, 2010

MILANO MUTANTE

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Stavolta mi tocca parlare di Milano. Mi scusino lettrici e lettori “foresti”, e del resto le cose politiche che capitano qui, nel bene e nel male, finiscono in genere per colare giù lungo lo stivale.
Da tempo qui si sente fibrillare qualcosa che va oltre l’incazzatura e il lamento. E quando questo qualcosa arriva a prendere forma (esempio, il Manifesto per Milano che avete recentemente letto sul “Corriere”, gruppi Facebook come Partecipami, iniziative in compresenza o online, discussioni su eventuali liste civiche, ecc.), quello che si rivela è immancabilmente un cambio di pelle, una mutazione genetica. La visione di una polis che si amministra a prescindere dai partiti, mediatori politici ormai ampiamente demitizzati, intesi come una pesante e inutile zavorra al piede di una città determinata a camminare e a crescere.
L’idea di rinunciare alla forma-partito si è già espressa storicamente in svariati tentativi, in verità quasi sempre finiti male: i Verdi,
anzitutto, che la resa al modello preconfezionato l’hanno pagata con la vita. L’idea era buona, gli uomini meno. L’esperimento dei 40xVenezia, social forum sulla città, attivissima rete civica in relazione complessa con partiti e istituzioni (collegatevi, se volete saperne di più), segna un ulteriore passo evolutivo.
A Milano ci si potrebbe spingere all’anello successivo, investendo direttamente energie e aspettative politiche su associazioni, su luoghi del fare e del pensare, a scapito di quei gusci vuoti che amministrano e distribuiscono potere. Districando la politica dal potere, per quello che si può.
Ora mi darete della femminista, e del resto se questa rubrica si chiama Maschilefemminile una ragione ci sarà. Ma a corollario aggiungerei questo: che l’idea di fare a meno dei partiti suona meno sconvolgente per le donne che per gli uomini, visto che i partiti non li hanno inventati loro. Più difficilmente le donne pongono le questioni in termini di schieramenti. E come si sa ad abitare i partiti non sono loro, da sempre più propense ai luoghi del pensare e del fare di cui sopra. “Mutanti” naturali, che dovrebbero stare alla testa del cambiamento spasimato.
Diversamente, sarà solo l’ennesimo minuetto dei nostri seducenti gattopardi.

pubblicato su Io donna – Corriere della Sera il 29 maggio 2010

Politica Giugno 9, 2009

UNA DOMANDA

Ecco, se girellate un po’ per questo blog ci troverete molti spunti condivisi per una critica della politica, e forse il più alto e lucido è il discorso di Simone Weil per l’abolizione dei partiti. Eppure eccoci qui, dopo questa faticosa tornata elettorale, a far di conto, a proiettare, a immaginare tendenze, o semplicemente a leccarci le ferite, irresistibilmente attratti dal gioco dei numeri, delle maggioranze, delle minoranze, a chiederci di Di Pietro, della Lega, delle possibili alleanze, dei ballottaggi… A cominciare da me, dico.

Ma davvero continuiamo ad aspettarci che da lì possano arrivare cambiamenti significativi per le nostre vite? O non sarebbe invece più giusto distrarsi, coerentemente, “astenersi” da questa speranza che più volte abbiamo constatato essere malriposta, riservare ad altro le nostre migliori energie, continuare, come dice una mia amica, nel tentativo di “districare la politica dal potere”?

Politica Dicembre 20, 2008

LA BELLA CATASTROFE

“Oggi non bastano il merito, l’impegno e neanche la fortuna per trovare lavoro” scrive Roberto Saviano su Repubblica. “Condizione necessaria, anche per la persona di talento, è rientrare in uno scambio di favori”. E’ proprio così. Non si “spreca” una posizione, specie se è buona, dandola semplicemente a una o a uno capace e giusta/o per quel posto; gliela si dà solo se l’offerta va a nutrire anche la logica dello scambio -nei casi migliori-, o solo la logica dello scambio (eventualmente anche sessuale). Se offrendo a una/o questa posizione, insomma, si fa un favore a qualcuno, che a sua volta sarà tenuto a ricambiare.

I buoni risultati -perfino il profitto, in un’azienda- contano molto meno dei risultati che si ottengono nel mondo duplex dello scambio. Capita dappertutto in questo paese, al Sud e anche al Nord. Una persona di valore, che dal Sud è fuggita per sottrarsi a questa logica imperante, dice che l’ha ritrovata al Nord: più sottile, sofisticata, intermittente. Ma c’era cresciuto in mezzo, aveva naso per riconoscerla, e l’ha riconosciuta. A Palermo, precisamente in via Maqueda, ho visto un manifestino scritto a mano attaccato a un muro: “Cerco lavoro, ma non ho raccomandazione”. Non è detto che fosse una trovata, tra sarcasmo e disperazione. Qui la cosa è meno esplicita, ma altrettanto corrente. Una volta le cose non andavano così. Ma la mutazione è avvenuta. Naturalmente, più ci si avvicina alla politica politicante, e più le maglie si stringono. I lavori contigui alla politica non sfuggono mai a questa logica. Se si sa di una/o a cui è stata offerta una certa posizione, la domanda è sempre: perché lui? (chi lo protegge? di chi è parente, o amico?) o perché lei? (con chi va a letto? di chi è moglie?). Be’, nove su dieci ci si imbrocca. Il paradosso è che la democrazia rappresentativa sarebbe lì a garantirci contro questa logica, o almeno ad arginarla, e invece ne è stata quasi del tutto divorata, e come si è visto ormai senza significative differenze tra destra e sinistra. Mio figlio, che ha vent’anni, si stupisce dello stupore di noi adulti: “Perché ti aspetti più moralità dalla sinistra?”. E come glielo spiego, io? A mio marito dicevo, a proposito di Napoli e di certi politici coinvolti, di cui non si sarebbe mai detto: “Probabilmente hanno pensato: tanto, se non lo faccio io, lo farà qualcun altro”. Fine delle scenette familiari.

E’ molto generoso da parte di Veltroni cercare di traghettare il Pd verso il nuovo. La sua generosità dovrebbe spingersi fino a comprendere che questo nuovo non potrà essere lui a rappresentarlo (e nemmeno D’Alema, intendiamoci). Ha giocato la sua partita e l’ha persa. Non si tratta di cercarlo, questo nuovo. Si tratta semplicemente di non sbarrargli più la strada. Come ho già detto tante volte, le donne -e non quelle maschilizzate del partito, ma le altre-, i giovani, i meritevoli. Non dovremmo più sbarrare la strada al nuovo che c’è già. Si tratta per tutti noi, individualmente, di vivere come se questo mondo ci fosse già, se questo altrove fosse già qui: pratica femminile, quella di stare vicino a ciò che ancora non c’è, e nutrirlo, e anche gandhiana. Non si tratta di chiedersi come si fa a fare questo. E’ mentre lo fai, che trovi la risposta. Ho già scritto in un commento stanotte, e ve o ripropongo qui, più in vista: il mutamento potrebbe capitare all’improvviso, così come le catastrofi -nel senso di riuscita, scioglimento del dramma- che sembrano inaspettate e invece sono lungamente preparate. Quello che conta è spasimare il cambiamento, e aspettarcelo tutti. Allora arriverà, e lo sapremo riconoscere. Quello che conta è comportarsi come se il cambiamento fosse già avvenuto -quello che sta capitando all’economia fa parte dei prodromi-in tutte le cose che facciamo. Vivere come delle premonizioni viventi, in un mondo in cui la catastrofe c’è già stata. E allora il mondo dovrà adeguarsi allo sguardo con cui lo guardiamo.

Politica, TEMPI MODERNI Dicembre 14, 2008

UN PAESE SENZA RETE

Animata discussione sabato sera con alcune amiche. Proprio sulla rete e i blog. La più autorevole tra loro sosteneva che il web è certamente un ottimo mezzo, ma resta un mezzo. Che quello che conta per fare politica, e per la vita soprattutto, è la forza del desiderio. Così, diceva, è vero che il presidente Obama è stato eletto anche grazie alla rete, ma quello che conta sono i movimenti reali -giovani, neri, etc.-che hanno approfittato della rete per realizzare il loro desiderio. In un altro tempo, stante lo stesso desiderio, si sarebbe usato un altro medium. Io le dicevo che invece secondo me la rete è un valore aggiunto per la democrazia, e segna delle sue caratteristiche -lo scambio, la velocità, la parità tra interlocutori, e tutto quello che sappiamo- la politica e la vita, producendo straordinari cambiamenti. Lei dice che faremo un dibattito pubblico su questo, ma io intanto voglio sapere che cosa ne pensate voi.

Seconda questione: il nostro, come saprete, è tra i paesi meno connessi d’Europa (42 per cento contro una media europea del 60, con punte oltre l’80 nel grande Nord). Poco sopra Bulgaria e Romania, dove tuttavia la tendenza è alla crescita, mentre da noi c’è addirittura una marcia indietro. Inoltre solo il 38 per cento degli abitanti accede alla rete regolarmente, più uomini (45) che donne (32). Tra i giovani, invece (14-29 anni) gli utenti sono l’83 per cento. Qualche tempo fa il quotidiano inglese The Guardian scriveva che la nostra vita sociale reale è già abbastanza intensa, le nostre piazze sono già abbastanza affollate, è per questo che non sentiamo il pressante bisogno di una piazza virtuale.

Sono andata a cercare i dati nel dettaglio, e posso dirvi che: Pisa e Bolzano sono le province italiane dove è concentrato il maggior numero di utenti, davanti a Milano, Firenze e Roma. Il Trentino Alto Adige stacca Toscana, Lazio e Lombardia. Quasi sconnesso il Sud. Secondo i ricercatori del Cnr, questo dimostra che “lungi dall’essere un fenomeno capace di ridurre o colmare le differenze socio-economiche tra territori, Internet riproduce e addirittura amplifica le differenze di sviluppo. Il che ridimensiona fortemente il mito dell’economia della rete: è tutto da dimostrare che le zone del paese con maggiori problemi infrastrutturali sulle reti “materiali” possano ridurre lo svantaggio puntando tutto sulla rete Internet: chi è indietro nello sviluppo economico perde ulteriori posizioni”.

Vi dico il mio punto di vista: sono certa che il gap che ci separa dal resto dei paesi sviluppati sarà presto colmato, e che il ritardo non è così significativo; resto convinta che la rete possa promuovere sviluppo, oltre a cambiamenti reali nella vita e nella politica. Credo che le donne saranno tra le fruitrici più entusiaste del mezzo. L’antipatia dei nostri partiti, senza differenze tra destra e sinistra, per questo mezzo, mi conferma nella sensazione che ci sia molta paura di passare al vaglio del popolo del web e del socialnetworking, che richiedono trasparenza, disponibilità al confronto e velocità nel feedback, cose che evidentemente i partiti non sono pronti a garantire. Che tutta questa politica fuori dalla “politica” li preoccupi molto.

E adesso ascolto voi: perché questo ritardo? qual è il potenziale della rete? e come andrà a finire?

Politica Dicembre 10, 2008

TROVATEMI DEI LIGURI!

Liguri. Ho bisogno di contatti con gente della Liguria. Datevi da fare e speditemeli qui. Intanto che discutiamo di Brokeback Mountain, io continuo a pensare al cemento in Liguria (2 topic qua sotto).

Avanti, non deludetemi. Poi vi spiego perché.

economics, Politica Dicembre 9, 2008

CEMENTO TRASVERSALE

Una signora che conosco ha inviato al presidente Obama le sue congratulazioni. Dallo staff del presidente, nel giro di un quarto d’ora, le sono giunti vivi ringraziamenti. Sarà nulla, ma dà una confortevole idea di civiltà e democrazia. Anche a me è venuta voglia di scrivere un’email a Mr President. “Già che c’è”, vorrei dirgli “può darci un suggerimento su come potremmo fare a fermare quegli speculatori che dopo aver glassato di cemento una superficie di territorio pari a quella della somma di Lazio e Abruzzo in poco più di un decennio, si apprestano a rilanciare con progetti faraonici che nei prossimi anni ridurranno il territorio libero da costruzioni a pochi lembi residui?”.

Gli americani hanno ben poco da insegnare, quanto a rispetto dell’ambiente. Pretendono di starsene in casa in t-shirt anche quando fuori si va a -10. Il professor Jeremy Rifkin, a cui qualche competenza in materia va riconosciuta, dice che il piano di Obama , salutato festosamente dalle borse mondiali, è ben poca cosa rispetto ai problemi che pretende di andare a risolvere. Eppure e già qualcosa, e l’ambiente figura tra i suoi fondamentali.

claudio scajola, ministro per lo sviluppo

claudio scajola, ministro per lo sviluppo

In Italia l’ambiente sarebbe una risorsa straordinaria. Ambiente, bellezza e nuove tecnologie potrebbero essere l’asse del nostro sviluppo. Il fatto è che il ministro per lo Sviluppo, Claudio Scajola, non sembra di questa opinione. Da lui, tra i protagonisti in Liguria di quella rivoluzione del cemento che prevede tre milioni di metri cubi di edificazioni oltre a a una quindicina di nuovi porticcioli, benché la popolazione ligure nei prossimi anni diminuirà oltre centomila unità, di sicuro non c’è da aspettarsi niente di buono. Il fatto è che non c’è da aspettarsi nulla nemmeno da Claudio Burlando, automobilista contromano e presidente “rosso” della Regione Liguria, l’altro leader del partito trasversale del cemento, che non ha nessuna opposizione politica a contrastarlo. Tutti d’accordo per il business. Tanto per parlare di una faccenda che conosco bene, dietro l’enorme speculazione in programma nella bella piana del fiume Magra, provincia di Spezia -un megaporto da un migliaio di posti barca più case,

claudio burlando, presidente regione liguria

claudio burlando, presidente regione liguria

alberghi, strade, parcheggi e quant’altro, ecomostro senza precedenti- oltre ai sindaci rossi e alla regione rosse ci sono le cooperative rosse, con il pieno consenso degli azzurri.

Così volevo scrivere a Obama, e chiedergli: “Essendo che non disponiamo nemmeno di verdi, sostanzialmente suicidatisi, e che lo scempio ambientale resta saldamente al centro dell’idea italiana di sviluppo economico, e senza alcuna possibilità di opposizione politica; essendo palese un conflitto tra i cittadini e i suoi rappresentanti, che evidentemente ritengono di dover rappresentare ben altri interessi; essendo che questi rappresentanti non intendono sentire ragioni, respingendo con arroganza ogni obiezione, e anzi non curandosi nemmeno di dare risposte, le chiedo: lei, Mr President, che cosa farebbe al posto nostro?”.

Ma prima lo chiedo a voi: che cosa si può fare per fermarli? avete qualche idea, visto che votare gli uni o gli altri non cambia il quadro? come si può organizzare un’opposizione efficace? portare all’attenzione internazionale l’irresponsabilità ambientale della nostra classe politica potrebbe servire a qualcosa?

Scrivete e fate scrivere i vostri amici liguri, che al momento mi sembrano quelli messi peggio. Io una proposta l’avrei, ma ve la dico dopo…

Politica Novembre 24, 2008

FUORI UN’ALTRA

irene tinagli

irene tinagli

Nel caso vi fosse sfuggito: Irene Tinagli è una brillante e giovane (34 anni) studiosa di innovazione e sviluppo, docente all’università di Pittsburgh, già consulente Onu e autrice del saggio Talento da svendere (Einaudi). Il suo, di talento, l’aveva generosamente messo a disposizione del Pd, entrando nella direzione nazionale del “partito nuovo”. Ma di questo mirabile talento il “partito nuovo”, tutto preso nelle sue beghe all’antica, non se ne è fatto nulla, tanto che, dice la ragazza, “in un anno di vita del Pd non sono mai stata consultata mai, nemmeno per un parere“. E ora, giustamente, Irene torna alla sua vita e va a investire altrove, esasperata dall’enorme quantità di energie spese nelle “polemiche tra veltroniani e dalemiani”. “Non sarebbe male” aggiunge “se Veltroni e D’Alema si dimettessero: hanno fatto più danni della grandine”. Nel frattempo se ne va lei, che ha di sicuro molte altre cose significative e importanti da fare. Diversamente da quelli -e quelle- che non se ne andranno mai, perché fuori di lì non saprebbero davvero che fare e come guadagnarsi il pane (anche se le pensioni siano molto congrue).

Il suo esempio andrebbe seguito, a titolo di esplicita denuncia, soprattutto dalle molte donne tenute ai margini della vita del partito. A meno che in extremis non riescano a fare qualcosa di buono. A meno che non riescano a imporre le loro priorità. Ma soffriranno lì dentro fino alla fine, attaccate al loro banco da prime della classe e fedeli e al padre, Anche se di padri in verità non se ne vedono, solo fratelli rissosi. Anche se le cose che contano davvero per la vita di tutti capitano necessariamente fuori di lì.

Si può fare a meno dei partiti, eccome. Oggi se ne deve fare a meno, non c’è alternativa, se davvero si ama la politica. E un omaggio a Irene, la prode.