“Era martedì, quando ho scoperto di avere un tumore”. Un bisogno di raccontare che è molto femminile. La narrazione fiduciosa e ostinata della propria storia, come un’instancabile tessitura che non si ferma nemmeno quando un nodo intricato e sembra farne impazzire il disegno.
Di solito un tumore al seno si scopre sotto la doccia -“… qualcosa che non torna”-, sistemandosi il costume al mare, o durante una mammografia. Perché non finisca tutto, tutto deve cominciare: lo shock, il rifiuto, la disperazione, l’accettazione; come dirlo sul lavoro, ai bambini, ai propri cari; i medici, gli esami, l’intervento, la diagnosi definitiva; la chemio, la radio, le pillole; i capelli che cadono, la bandana, la parrucca, la paura dei controlli. Il corpo e la mente che fanno un tutt’uno dolorante. E il bisogno di raccontare, a se stesse e agli altri, per ritrovare il filo e l’armonia, per rimettere ordine in tanto disordine. Attaccate a quel barlume di bene che c’è, deve per forza esserci, anche in questo male.
Luisa Morandini, critica cinematografica, scopre di avere il cancro e decide di raccontare la sua storia e quella di altre in un piccolo film corale e prezioso, “Vivere ancora”. La mano corre, nel buio della sala, a esplorare i seni sotto la giacca: si fa un po’ di fatica in principio, è naturale. Ma alla fine della proiezione la dolcezza prevale. Il sentimento di non essere sole. La quasi-certezza che ce la si può fare, e che la diagnosi precoce è decisiva. La forza delle altre ti entra dentro. E ti resta, come un gran dono.
Un annetto fa questa rubrica ha aiutato Luisa a trovare tra le lettrici altre donne nella sua situazione, e che avessero la generosità di raccontare. Ce l’abbiamo fatta. Adesso ci piacerebbe completare l’opera, proponendo alla Ministra per le Pari Opportunità di diffondere il film, che è totalmente autofinanziato e autoprodotto –un canale Rai sarebbe il meglio- per il suo alto valore sociale. Un diario filmato che racconta, informa, incoraggia e collabora alla prevenzione di un male purtroppo diffusissimo. Nella convinzione che anche in una circostanza così difficile quello che fa davvero paura è restare sole. E il film di Luisa conforta come un abbraccio.

(pubblicato su Io donna – Corriere della Sera il 17 gennaio 2009)