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Politica Maggio 13, 2015

Candidare gli impresentabili = far fuori i presentabili

 

Vincenzo De Leo, Fronte Nazionale: candidato in “Campania in rete” a sostegno del Pd Vincenzo De Luca

Amiche e amici, io non capisco. Se io mi volessi candidare -ma vale per chiunque di voi- alle elezioni politiche, o regionali, o amministrative, la cosa non sarebbe affatto facile. Non sono una perfetta sconosciuta, la mia fedina penale è immacolata, mi sono sempre guadagnata la vita da sola, studiando e lavorando sodo, senza favoritismi, raccomandazioni, parentele, compromessi o letti (passaggio sempre favorente).

Da sempre mi anima una furente passione per il mondo. In assoluto spirito di servizio -andare a Roma non mi interessava affatto- mi sono pure candidata, anzi mi hanno candidato a forza da ragazzina in ordine alfabetico nelle Liste Verdi di Alex Langer. E pur non essendomi sognata di fare la minima campagna elettorale, ho preso un bel po’ di voti e ho rischiato l’elezione: la mia vita sarebbe stata diversa, quasi certamente peggiore di quella che ho avuto. Eppure se oggi volessi candidarmi in una qualunque competizione elettorale, ripeto: non sarebbe facile per nulla.

Non sono una signora o signorina delle tessere, non sono presenzialista, sono antimondana, vivo in periferia, non svolazzo come una farfalla impazzita da un presidio a una manifestazione a un’inaugurazione a un convegno, credo pochissimo al professionismo e al carrierismo politico. Penso che in politica servano abnegazione, fatica, bassi emolumenti, buone idee, voglia di studiare e lavorare, non bollini di presenza tipo punti Fragola. Sono un’outsider, oggetto di regolare conventio ad excludendum da parte di ogni lobby di insider. In più sono una donna, e non di quelle che si possano cooptare, ubbidisco solo alla mia coscienza e di sicuro non ho un carattere facile, come spesso chi nella sua vita ha dovuto lottare parecchio. Insomma, una vera rompicoglioni. Non sarei male, come candidata, eppure -a parte Langer: ma quello era proprio un altro mondo- nessuno ha mai pensato di propormelo.

La lunga premessa per dire che entrare in una lista elettorale non è cosa semplice, per me come per tutti, e in particolare per tutte. Ora, io vorrei sapere come mai invece la cosa è piuttosto semplice per un gran numero di indagati, pregiudicati, trasformisti, traditori, voltagabbana, fascisti, raccomandati, parenti, amici dei camorristi o eventualmente camorristi in proprio (oltre a incapaci, mediocri, ambiziosetti, frequentatrici di letti e così via). In particolare mi riferisco a quelli ( e anche a qualche quella) che stanno in liste a sostegno di candidati governatori Pd in molte regioni che il 31 maggio andranno al voto. Per esempio Campania, Puglia, ma pure Liguria, e perfino Toscana e Veneto, dove furoreggia un ex-leghista anti-culattoni.

Ora, amiche e amici, molte e molti di voi riterranno la mia domanda retorica o ingenua: ma io dico che il giorno in cui farsi questa domanda non sarà più possibile, ebbene, quel giorno ogni speranza sarà perduta.

Rispondendo indirettamente a Roberto Saviano, pur senza mai nominarlo, il premier Matteo Renzi è stato costretto ad ammettere che certi nomi non li voterebbe nemmeno lui. Toppa peggio del buco, perché essendo il premier uomo a cui non sfugge nulla, con una evidente passione per le candidature bloccate (ergo, decido io e solo io chi va dove e a fare che cosa: “L’Italicum” scrive oggi Aldo Cazzullo sul Corriere “garantisce la governabilità, non la rappresentanza“), è davvero strano che non si sia accorto per tempo di quello che stava capitando, o quanto meno che qualcuno non l’abbia avvisato per tempo (chi? e chiunque sia, sarà chiamato a risponderne?) La sensazione piuttosto è che l’abbia lasciato capitare, democristianicissimo turamento di naso con supercazzola -presentiamo pure gli impresentabili- sperando che solo pochi se ne accorgessero, perché quei voti puzzeranno anche ma in certi territori non c’è altro modo per aggiudicarsi il consenso e vincere. Il fatto è che per disgrazia se n’è accorto Roberto Saviano, che a quanto pare va bene come ospite dell’antimafia retorica inutile à la Fazio, ma va molto meno bene quando mette i piedi nel piatto in cui ci si accinge a mangiare (voglio vedere se Fazio lo invita a parlarne).

Una volta si andava alle urne con il santino del candidato da votare. Oggi tocca andarci con la lenzuolata di quelli da NON votare.

Donne e Uomini, Politica Gennaio 21, 2013

Scandalo Lella Golfo

 

Lella Golfo non tornerà alla Camera dei deputati

Il Pdl le ha proposto il nono posto in lista per la Camera in Calabria: posizione di certa ineleggibilità. Lella Golfo ha rifiutato.   Il suo magnifico lavoro per le donne – evidentemente pessimo per gli uomini- non le ha giovato. La sua esclusione è paradigmatica: se sei una fedele anzitutto al tuo genere (e non a un capocorrente, o una semplice segnaposto per conto di, mariti, padri o altro)  in politica per te non c’è posto.

In una sola legislatura, con formidabile tenacia, in tandem con la piddina Alessia Mosca, Golfo è riuscita a portare a casa una legge importantissima per le donne italiane -sulle quote di genere nei cda delle società quotate in borsa-primo passo in direzione di quella generale applicazione di quote che sta femminilizzando la politica italiana. La beffa è proprio a lei sia rimasta esclusa- insieme ad altre indomite come lei-. L’ultima cosa che Lella è riuscita a fare per tutte è stata una raccolta di curricula eccellenti da sottoporre per le liste ai segretari di tutti i partiti. L’operazione non è andata in porto: lei stessa, amaramente, commentava qualche giorno fa:

“La mia sensazione,  è che ancora una volta i criteri siano stati poco trasparenti e meritocratici e che per noi ci sarà ben poco spazio, soprattutto in posizioni eleggibili. Non vi nascondo la mia delusione e amarezza e credo giusto avviare una seria riflessione sul futuro. Mi convinco sempre più che forse l’unica via d’uscita, lo sbocco naturale di questa partecipazione e dell’entusiasmo che mi avete trasmesso sia la creazione di un Partito delle donne“.

Uno stop, questo per Lella, certamente amaro, ma solo momentaneo. Continuerà il suo lavoro alla testa della Fondazione Marisa Bellisario e troverà certamente la strada per continuare a dare efficacia al suo lavoro politico. Non mollerà, seguendo gli insegnamenti di sua madre.

Per raccontarvi chi è Lella, vi ripropongo un’intervista ritratto che ho realizzato poco più di un anno fa, al momento dell’approvazione della sua legge sulle quote.

 

 

Cavaliere, Commendatore e onorevole, Lella Golfo è anzitutto una calabrese vera. Indomita e riservata. Presidente della Fondazione Marisa Bellisario e prima firmataria, insieme ad Alessia Mosca del Pd, della legge sulle quote nei Cda, giunta in porto dopo più di due anni di lotte, parla molto di politica e molto poco delle cose sue: il matrimonio, un figlio, il divorzio (“Il primo in Calabria…”). E sua madre, Rosa Verdelli, a cui è intitolata una sezione Pd di Reggio: attivista Pci, tutta la forza delle donne del Sud, “l’amministratore delegato della nostra famiglia” dice Lella, che da lei ha imparato i fondamentali. A non mollare, prima di tutto, a dribblare gli ostacoli uno a uno.

Lella comincia ragazza a battersi per i diritti delle gelsominaie della zona Jonica e delle raccoglitrici di olive nella piana di Gioia Tauro, per arrivare oggi a questo goal, probabilmente la più importante affirmative action mai applicata in Italia.

“E’ stata dura” dice. “Ho passato momenti di scoramento e solitudine. Anche molte donne già arrivate in ottime posizioni mi scoraggiavano: “Per carità, le quote!”. Alcune, come Emma Bonino e Adriana Poli Bortone, hanno votato contro. Ma senza questa forzatura transitoria -la legge resterà in vigore 9 anni- ci sarebbe voluto un altro mezzo secolo. E se il Paese vuole crescere non può permettersi di tenere le donne fuori dai luoghi di decisione ancora tanto a lungo”.

Sarà un terremoto…

“Da maggio 2012 i Cda dovranno nominare il 20 per cento di donne. Si arriverà a regime, cioè al 30 per cento, nel secondo e nel terzo mandato. Oggi nei board delle società quotate ci sono 332 donne e 4014 uomini, e nelle società pubbliche 1900 donne su un totale di 10 mila consiglieri. Solo per le società quotate serviranno 675 consigliere e 190 sindache”.

 E ci sono? In Norvegia, dove la legge impone il 40 per cento, dicono di aver dovuto imbarcare un po’ a casaccio…

“In Italia il problema non si pone. Le donne sono già il 60 per cento dei laureati. Dove si accede per concorso, come in magistratura, si va alla grande. La Fondazione Bellisario ha già raccolto 1700 curricula eccellenti, verificati da Beyond International e Heidrick & Struggles, società di executive search: 1300 sono già prontissime”.

 Non c’è il rischio che anziché le più brave si cooptino figlie, nipoti, fidanzate: donne che non “disturbano”?

 “Ma qui c’è la prova del mercato, non è come in politica. Le aziende lo farebbero a loro danno”.

 Le più brave però possono dare fastidio. Introdurre criteri diversi. Le donne sono più “strategiche”, non amano il rischio, lo spreco di risorse e di tempo…

“Ed è proprio di questo che c’è bisogno! L’innovazione sta qui. Sarà una medicina salutare”.

 E chi non si adeguerà?

“Per il primo mandato, dopo una lettera di richiamo, sono previste sanzioni a da 100 mila a 1 milione di euro. Per i mandati successivi c’è lo scioglimento del consiglio di amministrazione”.

 E’ soprattutto su questo che avete dovuto mediare con le associazioni degli industriali…

“Sì. I malumori sono stati molti. Abbiamo dovuto introdurre una certa gradualità”.

Ed Emma Marcegaglia?

“Era intervenuta pesantemente, chiedendo addirittura di bloccare la legge. Ma una volta trovate le mediazioni ha dichiarato che si trattava di una norma equa, e che anche in politica si dovrebbe pensare a qualcosa del genere”.

 E’ così?

“Anche qui: se attendiamo di arrivarci “naturalmente” ci vorrà una cinquantina d’anni. Sto pensando a qualcosa su questo fronte. Una legge che obblighi al 40 per cento delle elette: non parlo di candidature, ma di elette effettive. Con l’attuale legge elettorale a liste bloccate si potrebbe fare senza troppe difficoltà”.

 E’ vero che quanto a diritti delle donne siamo il Terzo Mondo d’Occidente?

“Sul fronte del lavoro non direi: gli obiettivi di Lisbona, il 60 per cento di occupazione, sono raggiunti in buona parte del Nord. Al Sud invece c’è molto lavoro nero che non risulta alle statistiche. Il problema semmai è l’accesso al potere. Ridotta all’osso, è una banale questione di posti. Per stare ai board: se 4000 donne devono entrare, 4000 uomini, che magari hanno meno titoli delle loro colleghe, devono uscire. Non c’è verso. Lo stesso in politica: per fare entrare in Parlamento 200 donne, 200 uomini devono sgomberare. E non ci pensano proprio”.

 E allora?

“E allora, quote”.

 

 

 

 

Donne e Uomini, Politica Dicembre 18, 2012

Carne da Porcellum

Fibrillazione, in queste ore, in particolare dalla parti del csx, sul tema primarie-liste elettorali. Tutto il nostro faticoso e pluriennale lavoro di donne sta producendo dei risultati -magari insufficienti, eventualmente discutibili-, ma (traggo da un mio libro del 2006, “La scomparsa delle donne”) da rognoso punto di programma, preferibilmente piazzate tra gli anziani e i diversamente abili, da “altra carne al fuoco” (cit. Piero Fassino d’antan), da “scassaminchia” (qui è un indimenticabile Pippo Gianni, Udc), da tema da affrontare all’ultimo minuto con imbarazzo e fastidio (“caxxo, e le donne?”), grazie soltanto alle nostre strenue lotte siamo salite nella graduatoria delle compatibilità di cui tenere conto, ed è tutto un 50/50, o almeno un 40/60, perché di presentarsi come gli ultimi misogini anche i nostri politici non se la sentono più. Bene.

La certezza l’abbiamo: il prossimo Parlamento sarà discretamente bisessuato, ancorché in percentuali variabili tra i partiti, raggiungendo con buona probabilità le medie europee (quelle africane del Rwanda, con il suo 58 per cento, del Botswana e di altri stati ce le sogniamo). Speriamo ugualmente bisessuato il governo. Finalmente il doppio sguardo -che non va solo assicurato come opportunità, ma anche praticato: il vero lavoro comincia lì-. Finalmente tante cittadine di questo Paese che non tabuizzano più il loro desiderio di partecipare alla gestione del Condominio, e forse anche il fuoco-amica (donna-spara-a donna) comincia a diminuire d’intensità.

Alle amiche che vogliono candidarsi mi sentirei di raccomandare una cosa: di non mettersi lì a fare da semplice riempilista, mera carne da Porcellum. Non significa, questo, pretendere a tutti i costi la garanzia di essere elette. Non tutte e non tutti potranno essere eletti, questo è certo. Quello che intendo è pretendere un GUADAGNO dalla propria candidatura, evitando di candidarsi in modo abnegativo e sacrificale.

Mi spiego meglio: per alcune la semplice candidatura ha senso, fa fare loro un passo avanti, definisce meglio la propria collocazione nel partito, è un gesto di testimonianza e di sostegno attivo. Per esempio: nel lontano 1986 io mi sono candidata nelle nascenti Liste Verdi, ma allora non avevo alcuna intenzione di andare a Roma. La “scampai” per un soffio, con le mie 800 preferenze. Ma non mi sono mai pentita di quel gesto di partecipazione. Anzi: lì c’è stato un guadagno per me (consapevolezza, senso di appartenenza, etc.).

Per altre, invece, il passo avanti richiede necessariamente l’elezione: si tratta allora di valutare attentamente se ve ne siano le condizioni, e di non buttarsi allo sbaraglio.

Un altro esempio: alle recenti primarie per la premiership del csx Laura Puppato aveva oggettivamente poche chance di farcela. Sento spesso dire che Laura ha perso: non è affatto così. Non è questione di percentuali. Da perfetta sconosciuta quale era a livello nazionale -era invece conosciutissima e sostenutissima nel suo Veneto-, in tre settimane Puppato ha conquistato una grande visibilità, il coraggio che ha avuto di buttarsi da sola è stato molto apprezzato, e oggi è in condizioni di stare in una partita in cui nessuno l’avrebbe mai cooptata, presumibilmente con un ruolo rilevante nel futuro governo. La sua storia offre un modello interessantissimo per tutte.

Quindi, amiche di ogni schieramento politico: si tratta semplicemente di fare bene i conti, di valutare l’occasione, ciascuna nel proprio contesto, ognuna per la propria vita.

Ripeto: non è necessariamente questione di essere certe della propria elezione. Si tratta di essere certe del fatto che da quella mossa, candidarsi, verrà anche un bene per se stesse.

 

 

Donne e Uomini, Politica, questione maschile Dicembre 7, 2012

Più donne che uomini per i 5 Stelle. Sono i primi

Paola Carinelli, stravotata da Movimento 5 Stelle in Lombardia

Non credo nella santità di Grillo e dei 5 Stelle (nemmeno la pretendo, peraltro), ma non credo nemmeno nel “pericolo 5 Stelle”. Molti punti del programma, specie sui temi ambientali, mi soddisfano pienamente. D’altro canto mi piacerebbe vedere meglio oliati i meccanismi di democrazia interna.

Non approvo perciò l’imbarazzo di molte/i che non sanno come maneggiare la notizia che su 31 capilista eletti con Parlamentarie, 17 sono donne (il 55 per cento). Per me è un’ottima notizia, che merita il massimo rilievo. Per la prima volta nella storia di questo Paese, un movimento politico si presenta all’elettorato con teste di lista più femminili che maschili (poi vedremo il resto delle liste, ma mi pare un’ottima premessa).

Il che significa almeno due cose:

1. non è vero che il Movimento 5 Stelle è misogino

2. quando a scegliere sono i cittadini e non i maschi che dirigono i partiti, le donne passano e alla grande e non servono quote o altre azioni antidiscriminatorie, perché cittadine e cittadini credono nella loro competenza, nell’onestà e nella concretezza, e l’innovazione non può prescindere dalla femmilizzazione .

Dico anche una terza cosa: non ho mai pensato che con il Movimento 5 Stelle non sia possibile ragionare. Non capisco perché dovrebbe andare così, e in base a quale principio funzionerebbe questo ostracismo preventivo. Apprezzo molto quei politici, come Laura Puppato (che lo dice qui), Pippo Civati e Rosario Crocetta, che non aderiscono a questa posizione chiusurista.

Nel suo libro “La rivendicazione della politica” (Fuorionda) Civati parla della necessità di comprendere quella “iperdemocrazia” opponendosi a etichettature frettolose e difensive (“i fascisti del web”) e adottando una logica inclusiva.

Non so se i 5 Stelle hanno tutta questa voglia di farsi includere. So che mi piacerebbe vedere in opera una collaborazione programmatica, che è possibile su molti punti. E so che quelle 17 donne su 31 sono un fatto certo, che saluto con grande interesse.

Sperando che i partiti seguano l’esempio.

Donne e Uomini, Politica Giugno 27, 2012

Cercansi donne che vogliono fare politica

Essendomi veramente stufata di sentir dire da partiti, partitazzi, liste, listarelle e vari think tank maschili che candidano poche donne “perché non si trovano”, “non ci sono”, “non vogliono venire”, smentisco una volta per tutte e categoricamente.

Ci sono moltissime donne, io ne conosco, che desiderano entrare nelle istituzioni rappresentative. Molte meno, com’è ovvio, quelle che hanno voglia di prestarsi ancora una volta a fare carne da porcellum, con scarsissime probabilità di essere elette.

Ci sono anche donne che sarebbero bravissime nel fare politica, ma il cui desiderio va maieuticamente risvegliato, accompagnato, autorizzato.

Quindi costituirò qui con questo post una specie di agenzia a cui fare pervenire nomi e curricula di donne che vogliono essere candidate e possibilmente sostenute in liste di tutti i tipi.

Il primo, vero e grande requisito richiesto è l’amore per il mondo, cosa che nessun curriculum garantisce. Poi vengono le specifiche competenze, su cui sono fiduciosa, perché le donne sono molto brave e preparate e  sono sempre le prime dove si entra per concorso e non per cooptazione, come in magistratura,

L’altra cosa che mi piacerebbe è il desiderio di non essere cooptate da uomini, per poi dovere rispondere a loro di qualunque propria scelte, per poter invece fare liberamente riferimento alle altre, per trovare nelle altre la forza per poter andare a cambiare quella politica che NON funziona.

Ma la cosa più importante è sentirsi autorizzate nel proprio desiderio. Che non costituisca più la violazione di un tabù, qualcosa di cui vergognarsi, da dover nascondere, per timore della riprovazione -ahimè- soprattutto delle altre. Quanto meno di alcune. Le quali dovrebbero interrogarsi su quali sono i sentimenti e gli argomenti che le muovono a fare a pezzi la loro simile che desidera andare, anziché limitarsi a sostenerla, se la candidatura le convince, o a darle comunque dignità di avversaria politica, da combattere SOLO in quanto tale, se portatrice di temi e programmi diversi dai propri. Quali sono, in breve, le radici di queste pratiche autosessiste.

Insomma, vorrei che questo fosse una specie di porto franco, in cui il desiderio che una ha di andare a fare politica non solo possa liberamente manifestarsi, ma anche venire apprezzato e accolto con interesse e gratitudine.

Politica Aprile 29, 2011

VOTARE DISGIUNTO


Il voto disgiunto, dicono, è un voto molto sofisticato. Be’, certo, è sofisticato perché i partiti si guardano bene dal dare questa informazione agli elettori, e la gente non ne sa nulla. Se gli elettori conoscessero per tempo questa possibilità, non sarebbe sofisticata per nulla. Insomma, è il classico cane che si morde la coda.

Non è nulla di difficile, vediamo di spiegarlo. Nei comuni oltre i 15 mila abitanti gli elettori possono votare una lista (e anche indicare un candidato di questa lista) e però dare la preferenza a un sindaco diverso da quello che sostenuto dalla lista che hanno votato.

Esempio concreto: un elettore della Lega, come ce ne sono tanti, che a Milano non abbia nessuna voglia di sostenere Letizia Moratti, candidata sindaca indicata dal suo partito. Questo elettore potrebbe tranquillamente votare per la Lega, e dare anche una preferenza a un candidato della lista leghista, ma mettere una croce sul nome di un sindaco diverso da Letizia Moratti: ad esempio Manfredi Palmeri, candidato sindaco del Terzo Polo, o anche Giuliano Pisapia, candidato del centrosinistra. In questo modo resterebbe “fedele” alla Lega, ma disubbidirebbe di fronte all’indicazione di un sindaco che non gli piace.

Naturalmente il ragionamento vale per tutti gli schieramenti. Un elettore del centrosinistra potrebbe votare una delle liste di centrosinistra e anche dare una preferenza all’interno della lista prescelta, ma poi indicare un candidato sindaco diverso da quello sostenuto dal suo schieramento.

Io credo che quando si va alle urne sia essenziale disporre di tutte le informazioni per poter esercitare con pienezza il proprio diritto di voto. Se nessuno vi ha mai parlato della possibilità del voto disgiunto –ho verificato che pochissimi ne sono a conoscenza- ecco che qui vi ho spiegato come funziona. E ve l’ho spiegato anche volentieri, proprio perché, com’è intuibile, il voto disgiunto ha un’interessante valenza antipartitocratica e aggiunge al voto un plus di autonomia.

Donne e Uomini, Politica Novembre 23, 2010

CONDIVIDERE, PREGO

Care amiche (e pure amici),

a breve in alcune città si andrà al voto amministrativo, e il voto politico non è lontano. Tanto vale che ne parliamo adesso. Avendo occasionalmente messo il naso in queste faccende, vi avviso che non c’è ragione di ritenere che la democrazia dimezzata, specialità per cui siamo famosi nel mondo, andrà in pari. Anche stavolta, con gli argomenti più speciosi, si pretenderà che a rappresentare e governare donne e uomini siano solo uomini.

L’ho visto da vicino. Nella costruzione del consenso terranno conto di tutto, i cattolici e i gay, i commercianti e i ciclisti, i cacciatori e le gattare. Le liste elettorali medieranno tra spinte e controspinte, navigando a vista nel gioco delle correnti. E solo alla fine, obtorto collo -la “questione” si tiene per ultima, come uno spinosissimo punto di programma- qualcuno lo dirà: e le donne?

La politica monosex non ci ha impedito di andare avanti. Ora lo sta facendo. E’ diventato un problema, per tutti e per tutte. Non risolveremo certo tutti i nostri guai, portando lì il doppio sguardo di donne e uomini, ma la politica sarà di sicuro più utile e meno nociva.

Il momento è adesso. Le donne che stanno già dentro i partiti vigilino e lottino. Non formule fumose, ma posti: nelle liste, al governo, negli snodi chiave dell’amministrazione. Quelle che hanno voglia di entrare in politica ci entrino, e quelle che vogliono candidarsi si candidino, sulla base del loro desiderio e delle loro competenze. Nessuna automoderazione. Sono autorizzate a farlo.

C’è anche una minima, neanche così minima, che è questa: non votare più liste dalle quali non si evinca con chiarezza che il mondo è fatto di donne e di uomini. Ma le liste non bastano: deve essere chiaro quanti e quali posti. Non votare e invitare viralmente altre e altri a non votare. E chiarire le proprie intenzioni da subito, in modo che si diano una regolata.

Condividere, prego (così sono costretti a “condividere” anche loro).