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Donne e Uomini, Politica Ottobre 5, 2012

A Paestum!

Il lavoro sarà certamente al centro per le donne che da stasera a domenica si vedranno a Paestum per “Primum Vivere anche nella crisi: La rivoluzione necessaria. La sfida femminista nel cuore della politica”. Logo dell’iniziativa (disegnato da Pat Carra), la silhouette di una Tuffatrice, femminile di quel Tuffatore del 470 a.C. esposto nel Museo Archeologico locale. Ma se il mare in cui lui si tuffa è l’aldilà, per lei è l’al-di-qua, il mondo, la polis, l’intreccio delle vite di tutti.

L’incontro è promosso da una trentina di protagoniste del femminismo italiano (da Lea Melandri a Lia Cigarini, Letizia Paolozzi, Bia Sarasini e altre) per misurarsi con “gli effetti di una crisi che sembra non avere una via d’uscita, e con una politica sempre più subalterna all’economia”. E verificare la propria capacità di “restituire alla politica corrente un orientamento sensato”. Quel “buon” senso delle donne chiamato oggi a esercitarsi nello spazio pubblico.

Il femminismo ha prodotto cambiamenti straordinari nella vita di tutte e tutti. Ma la crisi che riduttivamente chiamiamo “economica” chiede che il lavoro continui, se è vero, come dice il sociologo francese Alain Touraine, che “coscienza femminile e mutamento sociale non sono più separabili”.

L’idea ambiziosa e radicale: “Partire dalla vita delle donne e degli uomini” dice Lea Melandri “da quel congegno vita-lavoro che non tiene più, per ripensare anche l’economia e la politica. Per un’idea diversa di polis e di civiltà”. In cerca di un pensiero politico buono non soltanto per le donne, ma anche per gli uomini. I quali non sono espressamente invitati, ma Paestum non sarà off limits. La discussione sarà viva e libera: la ricerca di energia e significati si avvale anche della parola faticosa e ambigua e dell’impasse, tutto parla, non solo le parole.

Obiettivo su alcuni grandi temi: oltre a Economia, lavoro, cura, Voglia di esserci e contare, Auto-rappresentazione/rappresentanza, Corpo-sessualità-violenza-potere. Non è improbabile che le elezioni catalizzino l’attenzione. Dice Bia Sarasini: “Paestum non è per questo, ma potrebbe uscirne una proposta che ha anche a che vedere con l’immediato elettorale. Personalmente ci spero”.

Sulla battaglia per il 50/50, quel metà donne-metà uomini che ha già corso in alcune città, il consenso non è unanime: passaggio irrinunciabile per il cambiamento secondo alcune, rischio di prestarsi come “risorsa anticrisi” secondo altre. Ma il tema dell’efficacia è ben presente a tutte: è ancora utile l’“estraneità”, quell’attivo tenersi fuori dalla politica degli uomini a cui molte imputano il difetto di efficacia?

Tante giovani donne, a dispetto dell’estraneità da un lato e della misoginia dei partiti monosex dall’altro, nella politica si getterebbero a capofitto, con lo stesso slancio della Tuffatrice. “Un protagonismo” dice Giordana Masotto “che è una molla interessante. Un desiderio che non può essere oggetto di tabù, né visto come “poco etico” o smania di potere. Ma vogliamo ragionarci a fondo. Per capire che cosa le donne possono cambiare di quella politica, e che cosa no”.

Previste almeno 700 partecipanti.

Seguite il blog per un resoconto in diretta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Donne e Uomini, economics, esperienze, lavoro, Politica, Senza categoria Giugno 26, 2012

Primum Vivere. Femministe a Paestum

 

frida kahlo le due frida

Una boccata d’aria, per tante di noi. Tornare nel luogo dell’origine. Coming back home.

Il manifesto di convocazione dell’incontro di Paestum

“Primum Vivere anche nella crisi: La rivoluzione necessaria. La sfida femminista nel cuore della politica” (5-6-7 ottobre)

parla la mia lingua, e quella di molte di noi.

La lingua che abbiamo parlato per molti anni quando, secondo alcun*, eravamo chiuse nel silenzio. Ma quel silenzio diceva solo l’ostinata sordità di chi non sapeva o non voleva sentire.

 Il testo integrale del manifesto lo allego qui sotto, comprese istruzioni per partecipare.

 

Con Giordana Masotto, Libreria delle Donne di Milano, una delle organizzatrici dell’incontro, ragiono sul significato di questo appuntamento.

 

“Esiste una rete di relazioni tra donne di molte città italiane” dice Masotto “rimasta viva in tutti questi anni, la rete del femminismo che dagli anni Settanta a oggi ha continuato a generare pensieri, gruppi, realtà, pratiche. Questa rete si è attivata nel comune desiderio, come si dice nel titolo dell’incontro, di portare la sfida del femminismo al cuore della politica, di mettere pensieri e pratiche di donne alla prova di questa crisi politica ed economica, e misurarne l’efficacia”.

Qual è il rapporto con il cosiddetto neofemminismo, quello del 13 febbraio e di Se Non Ora Quando, e con i suoi obiettivi?

“Ci interessa molto confrontarci con quelle che sono dentro la politica seconda e le istituzioni, e anche con quelle che desiderano entrarci. Vogliamo ragionare a fondo sulle pratiche. Discutere di che cosa può essere cambiato di quella politica e che cosa invece no. Intendiamo andare a verificare, e anche offrire una sponda a chi è già dentro. Leggiamo questo protagonismo come una molla, come qualcosa di interessante. Anzitutto come un desiderio che non può essere tabuizzato, né inteso come “non etico””.

ºººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººº

Ed ecco il manifesto di convocazione dell’incontro, con tutti i temi proposti alla discussione.

 

C’è una strada per guardare alla crisi della politica, dell’economia, del lavoro, della democrazia –tutte fondate sull’ordine maschile – con la forza e la consapevolezza del femminismo? Noi ne siamo convinte.

Davanti alla sfida della libertà femminile, la politica ufficiale e quella dei movimenti rispondono cercando di fare posto alle donne, un po’ di posto alle loro condizioni che sono sempre meno libere e meno significative. No. Tante cose sono cambiate ma le istanze radicali del femminismo sono vive e vegete. E sono da rimettere in gioco, soprattutto oggi, di fronte agli effetti di una crisi che sembra non avere una via d’uscita e a una politica sempre più subalterna all’economia.

All’incontro di Paestum aperto al confronto con gruppi, associazioni, anche istituzionali, e singole donne, vorremmo verificare, discutendo e vivendo insieme per tre giorni, se la politica femminile che fa leva sull’esperienza, la parola e le idee, può in un momento di crisi, smarrimento e confusione, restituire alla politica corrente un orientamento sensato.

 

1. Voglia di esserci e contare

La femminilizzazione dello spazio pubblico – comunque la si interpreti: opportunità, conquista delle donne o rischio di diventare solo “valore aggiunto”, “risorsa salvifica” di un sistema in crisi – ha reso per alcune (molte?) non più rinviabile il desiderio di “contare”, visto come presenza nei luoghi dove si decide, equa rappresentanza nelle istituzioni politiche, amministrative, partiti, sindacati, e nelle imprese.

Noi consideriamo il protagonismo in prima persona di ciascuna donna una molla dinamica importante. Quello che ci interessa è discutere con chi si impegna nei partiti, nelle istituzioni e nel governo delle aziende: che esperienza ne hanno, che cosa vogliono, che cosa riescono a fare e a cambiare. E valutiamo che oggi questo confronto possa avere esiti interessanti per tutte.

Il femminismo d’altra parte, criticato per non avere investito della sua spinta trasformativa le istituzioni della vita pubblica, può avvalersi oggi di una lunga elaborazione di autonomia per ripensare il senso di concetti come “genere”, “democrazia partecipata”, “soggetto politico”, “organizzazione”. Viene dalla pratica dell’autocoscienza, del “partire da sé”, la critica più radicale all’idea di un soggetto politico omogeneo (classe, genere, ecc.), di rappresentanza e di delega. Pensiamo che un collettivo si costruisca solo attraverso la relazione tra singole/i. E oggi vogliamo interrogare la connessione tra questa pratica politica e la modificazione visibile del lavoro, dell’economia, e più in generale del patto sociale.

In questo contesto, anche la scelta di Paestum come luogo dell’incontro non è casuale, ma vuole essere un richiamo alla necessità di articolare soggettività e racconti nei contesti in cui si vive e agisce. Vogliamo così far crescere una rete di rapporti tra donne e gruppi di donne già ricca e intensa. In particolare, sappiamo che alcune caratteristiche del Sud – sia i beni sia i mali – hanno un’invadenza sulla vita e sul pensiero di chi lì abita che non può essere ignorata, né da chi vive in altri luoghi, né soprattutto dalle meridionali stesse.

 

2. Economia lavoro cura

Molto è il pensiero delle donne sui temi del lavoro e dell’economia a partire dalla loro esperienza. Che ha questo di peculiare: hanno portato allo scoperto e messo in discussione la divisione sessuale del lavoro (quello per il mercato – pagato – e quello informale ed essenziale di cura e relazione – gratuito); in più, sanno che la cura non è riducibile solo al lavoro domestico e di accudimento, ma esprime una responsabilità nelle relazioni umane che riguarda tutti.

A partire da questo punto di vista, e sollecitate anche da una crisi che svela sempre di più l’insensatezza oltre che l’ingiustizia dei discorsi e delle politiche correnti, possiamo delineare una prospettiva inedita: quella di liberare tutto il lavoro di tutte e tutti, ridefinendone priorità, tempi, modi, oggetti, valore/reddito e rimettendo al centro le persone, nella loro vitale, necessaria variabile interdipendenza lungo tutto l’arco dell’esistenza, e avendo a cuore, con il pianeta, le persone che verranno.

Vorremmo articolare questo discorso valutando insieme le recenti esperienze di pratiche politiche e analizzando le contraddizioni che incontriamo (in primo luogo le conseguenze del rapido degrado del mercato del lavoro) in modo da rendere più efficace il nostro agire.

 

3. Auto–rappresentazione/rappresentanza

Nella strettoia della crisi i cittadini non hanno più libertà politica; la politica è ridotta a niente; decidono tutto l’economia e la finanza. In una situazione dove tutto sembra prescritto a livello economico finanziario, la pratica e il pensiero delle donne hanno una carta in più per trovare nuove strade.

La nostra democrazia è minacciata da pulsioni, spinte estremistiche; le sue istituzioni elettive depotenziate o addirittura esautorate. La rappresentanza è messa in crisi e oggi ne vediamo i limiti.

Perché una persona possa orientarsi, deve avere un’immagine di sé, di quello che desidera e di quello che le capita. Il femminismo che conosciamo ha sempre lavorato perché ciascuna, nello scambio con le altre, si potesse fare un’idea di sé: una autorappresentazione che è la condizione minima per la libertà. Invece la democrazia corrente ha finora sovrapposto la rappresentanza a gruppi sociali visti come un tutto omogeneo.

La strada che abbiamo aperta nella ricerca di libertà femminile, con le sue pratiche, può diventare generale: nelle scuole, nelle periferie, nel lavoro, nei luoghi dove si decide, ecc.

Che la gente si ritrovi e parli di sé nello scambio con altre/i fino a trovare la propria singolarità, è la condizione necessaria per ripensare oggi la democrazia.

Vorremmo declinare questi pensieri nei nostri contesti, confrontandoci sia sulle pratiche soggetto/collettivo, sia sui modi per dare valore al desiderio di protagonismo delle donne. E quindi ci chiediamo: come evitare che in alcune la consapevolezza basti a sé stessa e si arrenda di fronte all’esigenza di imporre segni di cambiamento e alla fatica del conflitto? E in altre la spinta a contare le allontani dalle pratiche di relazione?

 

4. Corpo sessualità violenza potere

“è già politica” (sottinteso: l’esperienza personale): il femminismo ha incominciato lì il suo percorso. Ha scoperto la politicità del corpo e della sessualità, della maternità, del potere patriarcale in casa, del lavoro domestico. Ha affermato che la violenza maschile contro le donne in tutte le sue forme, invisibili e manifeste, è un fatto politico. Radicale è stato prendere il controllo sul proprio corpo e insieme ribellarsi a un femminile identificato con il corpo: ruolo materno, obbligo procreativo e sessualità al servizio dell’uomo.

Oggi la sfida è più complessa: si esibisce lo scambio sesso/denaro/carriera/potere/successo occultando il nesso sessualità/politica; si esalta il sesso mentre muore il desiderio; si idolatra il corpo ma lo si sottrae alle persone consegnandolo nelle mani degli specialisti e dei business; si erotizza tutto, dal lavoro ai consumi, ma si cancella la necessità e il piacere dei corpi in relazione.

Sintomi estremi di questa fase sono il rancore maschile verso l’autonomia e la forza femminile e il riacutizzarsi della violenza, dell’uso della brutalità.

Ma qualcosa si muove. Non solo i gruppi (Maschile/Plurale) e i singoli uomini che ormai da anni si impegnano nella ricerca di una nuova identità maschile, spesso in relazione con le femministe. Ma anche le moltissime blogger femministe (e blogger “disertori del patriarcato”) che ragionano su desiderio e sessualità e si impegnano contro la cultura sessista e autoritaria.

Soprattutto le relazioni tra donne e uomini sono cambiate. Ma non abbastanza. Sulla scena pubblica questo cambiamento non appare perché il rapporto uomo-donna non viene assunto come questione politica di primo piano. Eppure, solo in questo modo, possono sorgere pratiche politiche radicalmente diverse, produzioni simboliche e proposte per una nuova organizzazione del vivere.

 

Di tutto questo vogliamo parlare a Paestum.

 

 

Le promotrici:

Pinuccia Barbieri, Maria Bellelli, Maria Luisa Boccia, Ornella Bolzani, Paola Bottoni, Maria Grazia Campari, Luisa Cavaliere, Patrizia Celotto, Lia Cigarini, Laura Cima, Silvia Curcio, Mariarosa Cutrufelli, Elettra Deiana, Donatella Franchi, Sabina Izzo, Raffaella Lamberti, Giordana Masotto, Lea Melandri, Jacinthe Michaud, Clelia Mori, Letizia Paolozzi, Gabriella Paolucci, Antonella Picchio, Biancamaria Pomeranzi, Carla Quaglino, Floriana Raggi, Bia Sarasini, Rosalba Sorrentino, Mariolina Tentoni

 

 Programma dell’incontro

 

L’incontro di Paestum non sarà un Convegno. Quindi niente relazioni introduttive, generali o sui singoli punti. Non ci sarà una struttura preordinata di interventi. Tutte sono libere di parlare. Abbiamo solo previsto un’alternanza di momenti in cui siamo tutte insieme a momenti di confronto più ristretti per approfondire i temi proposti (cui potranno eventualmente aggiungersi altri).

 

Venerdì 5 ottobre

Pomeriggio/sera: arrivo, sistemazione, cena

 

Sabato 6 ottobre             

Mattino: tutte insieme

Pomeriggio: divise in gruppi sui temi

Voglia di esserci e contare

•Auto–rappresentazione/rappresentanza

Economia lavoro cura

Corpo sessualità violenza potere

Sera: cena e spettacolo

 

Domenica 7 ottobre       Mattino: tutte insieme

 

 

Informazioni pratiche

Ospitalità e ristorazione

Paestum offre una scelta estremamente varia di strutture ricettive: da agriturismi e b&b a hotel a 5 stelle.

L’Associazione Artemide ha promosso, in occasione del nostro incontro, delle convenzioni con alcune strutture, alberghiere e non, per assicurare prezzi convenienti. In particolare, presso le strutture convenzionate si potrà avere pernottamento e prima colazione a 20 euro (in camera multipla), a 30 euro (in camera doppia) e a 50 euro (in camera singola).

Per queste prenotazioni è possibile rivolgersi a Maria Bellelli: mariabellelli@tiscali.it cell. 3288324032.

Per quanto riguarda i pasti, ulteriori convenzioni sono state attivate e sono ancora in corso di attivazione con ristoranti che assicureranno un menu fisso a 15 euro a persona. A ridosso della data dell’evento forniremo l’elenco dettagliato degli esercizi presso i quali si potrà godere di questo trattamento.

 

Trasporti

Paestum è raggiungibile in auto, treno, aereo.

Auto: autostrada Salerno Reggio-Calabria, uscita Battipaglia, strada statale 18 fino alla zona archeologica di Paestum.

Treno: stazioni di Paestum, Agropoli o Salerno; info www.trenitalia.com.

Aereo: aeroporto Costa d’Amalfi a Salerno per voli da Milano Malpensa, Verona, Olbia e Catania.

Per ogni ulteriore informazione relativa a trasporti e spostamenti è possibile rivolgersi a Ecady Travel, Via Magna Grecia, 85 – Capaccio. Tel. 0828 19622540, fax 0828 725485, e-mail info@ecadytravel.com.

 

Donne e Uomini, questione maschile, TEMPI MODERNI Maggio 28, 2012

L’affaire Zemmour e altri machismi

eric zemmour a rtl

Eric Zemmour è un brillante e arguto opinionista francese, firma di “Le Figaro”, autore di best-seller come “L’uomo maschio” e titolare di una seguita rubrica radiofonica, “Z comme Zemmour”. Nella puntata di venerdì 23 maggio Zemmour ha attaccato la neoministra alla Giustizia Christiane Taubira, dicendo che “ha già scelto chi sono sono le vittime e i carnefici… Le donne e i giovani delle banlieu stanno dalla parte dei buoni, gli uomini bianchi da quella dei cattivi… La ministra è dolce e compassionevole, come una mamma con i suoi figli, quei poveri figli delle periferie che rubano, spacciano, torturano, minacciano, violentano, e qualche volta pure uccidono”.

L’exploit potrebbe costargli il posto in radio. SOS Racisme ha invitato Zemmour ad andare dallo psicoanalista, mentre i francesi si dividono tra fan e detrattori dello “scorrettissimo” opinionista, legato alla destra revanscista che polemizza contro i valori del multiculturalismo e del femminismo.

Al di là dell’affaire, è interessante -e preoccupante- il fenomeno diffuso di saldatura che si sta realizzando tra motivi xenofobi, talora francamente razzistici, e antifemminismo, e che può essere ben rappresentata, a titolo di esempio, dall’umore espresso da questo commento, apparso in un blog maschile italiano dopo la notizia del figlicidio-suicidio di Brescia:

Credo che i vari uffici di Pari Opportunità, i vari propugnatori di “quote rosa” debbano sentire la responsabilità di queste tre morti. Perchè quell’uomo con le proprie forze forse ce l’avrebbe fatta, se non gli fosse passato avanti una volta una donna, un’altra un tossico, un’altra un immigrato, tutti con meno meriti“.

Le donne, i tossici, gli immigrati -e anche i maschi omosessuali- avrebbero in comune questo: che tolgono spazi e centralità al maschio bianco occidentale e straight, inteso come nemico comune. Un senso che trapela anche da un documento firmato da molte femministe francesi mobilitate a favore dell’elezione di Hollande:

È tempo che un altro femminismo prenda la parola: noi,  femministe, rifiutiamo con la più viva determinazione che i «diritti delle donne» e degli «omosessuali-maschi e femmine» o la «uguaglianza dei sessi» servano a delle ideologie e delle pratiche neocoloniali e liberticide. Noi rifiutiamo di renderci complici di tali dispositivi che creano le condizioni della potenza del capitalismo neoliberale, della promozione di una morale paternalista della «tolleranza», della riduzione della politica al mantenimento dell’ordine poliziesco e di dogana, dell’accanimento e della sorveglianza e della criminalizzazione degli  stranieri“.

Io credo che questa saldatura sia potenzialmente pericolosa. Credo che intendere le donne come una delle varie minoranze in lotta sia un modo sbagliato ed equivoco e troppo contingente di intendere la questione, sia che venga espressa della destra revanscista, sia che venga assunta come plausibile dallo stesso femminismo.

Non è affatto detto che un maschio “straniero” o omosessuale sia sempre e comunque più amico delle donne di un eterosessuale bianco, in forza della logica del “nemico comune”.

La lotta delle donne è altro, è significare liberamente la propria esistenza, è riportarsi e riportare il mondo al due originario negato.

Io in questa logica mi sento in trappola, non ci sto.

 

 

Donne e Uomini, esperienze, Politica Maggio 16, 2012

Femministe last minute

 

Fino a poco più di un anno fa eravamo veramente in poche, e ci conoscevamo quasi tutte.

 

Dirti femminista era a tuo rischio e pericolo. Se poi eri “storica” –così vengono chiamate le madri di tutte noi- eri proprio da rottamare. Il lavoro continuava intensamente, proficuamente e felicemente nella riflessione sotto-traccia mediatica –nel senso che i media lo ignoravano del tutto- e nelle pratiche di politica prima, altrimenti dette volontariato o cura. Il cosiddetto “silenzio” c’era solo per i media.

 

Lo spartiacque è stato il 13 febbraio. Per tante è stata davvero una grandissima rivelazione. Per alcune solo un’ottima occasione. Da quel momento in poi non è stato più sconveniente dirsi femministe. Anzi. Ci sono anche maschi femministi, volendo.

 

Le femministe last minute pretendono di ricominciare da zero, come se prima di loro non ci fosse stato nulla. Fanno molta fatica a riconoscere l’autorità dell’altra. In una parola, cancellano la madre (come fanno da sempre gli uomini, e anche le emancipate). Ma dimenticando la madre rischi anche terribili svarioni.

 

Sono inorridita partecipando a una riunione in cui alcune protestavano perché ad aprire un convegno sarebbe venuta la delegata del sindaco e non invece il sindaco in persona: pratica inaudita nel femminismo, che casomai avrebbe chiesto cortesemente al sindaco maschio di astenersi e di mandarci la sua delegata. Ma direi che la notizia oggi è questa: una che via Facebook convoca una manifestazione sabato 26 in Regione Lombardia per chiedere le dimissioni di Nicole Minetti. Soltanto di lei, e non, casomai, di chi l’ha messa nel listino bloccato come merce di scambio politico, o di altri indagati (non c’è che l’imbarazzo della scelta). Pratica esplicita di giustizialismo misogino, inaudita anche questa. E poi che cosa fanno? La rapano a zero?

 

Direi che c’è ampia materia di riflessione.

 

 

 

 

 

 

 

Donne e Uomini, economics Maggio 5, 2012

Imprenditoricidio

Bologna, manifestazione di mogli e figlie degli imprenditori suicidi

Nel suo blog, Walter Binaghi parla del femminicidio, e poi osserva:

(…) A fronte di una sessantina di “femminicidi”, quest’ultimo anno ci ha portato una serie impressionante (80!) di suicidi di imprenditori. Vittime della crisi, si mormora (ma siccome la crisi non esiste come soggetto criminale, preferirei che si dicesse ad alta voce che la maggior parte di essi sono vittime di banche che si rifiutano di concedere crediti, a fronte di anni e anni di onorati pagamenti, perchè è aumentata la percentuale di rischio).

Cosa c’entra l’imprenditore suicida con i crimini legati al genere? C’entra, e parecchio: questi imprenditori suicidi sono tutti maschi. So che molte donne storceranno il naso a fronte di questo accostamento ma essere sensibile alle ragioni del femminismo non significa accettarne supinamente anche i limiti. Quel che ho sempre invidiato alle donne negli anni Settanta è l’autocoscienza, quel che mi pareva e mi pare poco utile è lo sciovinismo.

Dunque, la domanda è: perchè questi uomini, che pure avevano al loro fianco mogli e compagne come collaboratrici e co-titolari dell’impresa, hanno ritenuto di doversi immolare come vittime sacrificali, o per dirla in altro modo essi soltanto non hanno sopportato la vergogna del fallimento, al punto da togliersi la vita? Non ci troviamo qui di fronte ad una simmetrica, e altrettanto lugubre, “debolezza” di genere?
Non è forse questa un’altra, e non meno devastante, declinazione di quello che le femministe chiamerebbero “il patriarcato morente ?(…)”.

Probabilmente sì. Ma non si tratta facili simmetrie o addirittura -non lo dico all’autore, sto genericamente prevenendo una tentazione- di poter fare un pari-e-patta: lo vedete che moriamo anche noi? E allora perché fate tutto questo chiasso?

Le donne muoiono per mano maschile, per Eccesso maschile. Quegli uomini cadono vittime della finanziarizzazione dell’economia, delle sue leggi spietate intese come Assoluto immodificabile, della Necroeconomia, come la chiama Guido Ceronetti. Ma anche quelle leggi, quell’idea di economia, sono espressione dell’Eccesso maschile, di quell’aver voluto occupare il centro della storia, di quel patriarcato che ha tenuto le donne sotto e fuori. Anche quei morti sono vittime del backlash, dei colpi di coda del patriarcato agonizzante, di quelle leggi (anti)economiche che ne costituiscono il sistema nervoso. E forse molti di loro di quell’assetto sono stati partecipi, prima di esserne vittime sacrificali.

Non basta essere nati uomini, è vero, per dover assumere la ferocia del patriarcato. Basta però essere nate donne, questo è certo, per doverla subire. La differenza è questa.

Probabilmente un numero crescente di uomini oggi sta capendo che quell’Eccesso maschile è un grande male anche per loro.

 

 

 

Donne e Uomini, Politica Aprile 15, 2012

Che cos'è il "patto di genere"

Comincia a circolare e a diventare lingua corrente l’espressione “patto di genere”. Ieri al seminario nazionale di Se non ora quando sulla rappresentanza è risuonata molte volte. Si tratta però di capire bene di che cosa stiamo parlando, perché molte sono dubbiose: “Come faccio a stringere un patto di genere con la mia avversaria politica?”. Ebbene, il patto di genere è proprio ciò che consente di avere una nemica politica senza dispersione di energie.

Da noi stesse noi donne pretendiamo identità assoluta di vedute, o ci opponiamo in un’inimicizia altrettanto radicale. In soldoni, o solidarietà totale con l’altra, o annientamento dell’altra. Pretendiamo anche di intenderci tutte uguali, e anche questo è un errore, perché si tratta di saper riconoscere il fatto, anche doloroso, che una in certe cose, è meglio di te, ha più talento di te. Il patto di genere non ha niente a che vedere con la solidarietà, è una cosa molto diversa da una lobby e non costringe a rinunciare alla differenza di vedute. Avere saputo stringere un patto fondativo di genere è la mossa che ha fatto vincere gli uomini, che sanno dosare la loro inimicizia. Quello che ci lega a tutte le altre in un patto dell’origine è la nostra differenza femminile. Riconoscendo l’altra come donna, posso riconoscere anche me stessa come radicalmente diversa da un uomo. Il pluralismo e la trasversalità politica, che in alcuni casi, come in quello della lotta per la rappresentanza, sono una strada obbligata, sono solo l’aspetto esteriore del patto di genere, che è ben altro.

La cosa che fa più male a noi donne non è il conflitto politico, che è ovvio e necessario, ma il fatto che molte siano più fedeli agli uomini che al loro genere, e quindi a loro stesse. Che lavorino con le donne ma siano pronte a smobilitare rapidamente per rispondere al padre e compiacerlo. Questo è ciò che complica enormemente le nostre relazioni politiche, non il fatto che, poniamo, la si vede diversamente sulla legge 40 o sulla riforma del lavoro.

“Protette” dal legame con l’origine, potremo confliggere più agevolmente. Potremo convergere su alcune questioni, come capita facilmente in tema di violenza sessista o anche di salute, o sul valore politico della cura, e divergere su altre. I rapporti con la nemica non saranno più devastanti, perché la riconosceremo come possibile alleata in altre circostanze. Come dice Simone Weil, ci si potrebbe associare e dissociare “secondo il gioco naturale e mobile delle affinità…”, e questo sarebbe già uno straordinario cambiamento della politica, perché è certo che noi vogliamo andare lì per cambiarla.

Oggi c’è di sicuro un livello minimo che tiene insieme tutte le nostre differenze, un comune denominatore da cui partire per costruire un’agenda politica. Lo direi sinteticamente in due punti: riportare la vita al primo posto, ed essere lì a tenercela.

E’ di qui che si deve partire.

Donne e Uomini, Politica Aprile 15, 2012

Che cos’è il “patto di genere”

Comincia a circolare e a diventare lingua corrente l’espressione “patto di genere”. Ieri al seminario nazionale di Se non ora quando sulla rappresentanza è risuonata molte volte. Si tratta però di capire bene di che cosa stiamo parlando, perché molte sono dubbiose: “Come faccio a stringere un patto di genere con la mia avversaria politica?”. Ebbene, il patto di genere è proprio ciò che consente di avere una nemica politica senza dispersione di energie.

Da noi stesse noi donne pretendiamo identità assoluta di vedute, o ci opponiamo in un’inimicizia altrettanto radicale. In soldoni, o solidarietà totale con l’altra, o annientamento dell’altra. Pretendiamo anche di intenderci tutte uguali, e anche questo è un errore, perché si tratta di saper riconoscere il fatto, anche doloroso, che una in certe cose, è meglio di te, ha più talento di te. Il patto di genere non ha niente a che vedere con la solidarietà, è una cosa molto diversa da una lobby e non costringe a rinunciare alla differenza di vedute. Avere saputo stringere un patto fondativo di genere è la mossa che ha fatto vincere gli uomini, che sanno dosare la loro inimicizia. Quello che ci lega a tutte le altre in un patto dell’origine è la nostra differenza femminile. Riconoscendo l’altra come donna, posso riconoscere anche me stessa come radicalmente diversa da un uomo. Il pluralismo e la trasversalità politica, che in alcuni casi, come in quello della lotta per la rappresentanza, sono una strada obbligata, sono solo l’aspetto esteriore del patto di genere, che è ben altro.

La cosa che fa più male a noi donne non è il conflitto politico, che è ovvio e necessario, ma il fatto che molte siano più fedeli agli uomini che al loro genere, e quindi a loro stesse. Che lavorino con le donne ma siano pronte a smobilitare rapidamente per rispondere al padre e compiacerlo. Questo è ciò che complica enormemente le nostre relazioni politiche, non il fatto che, poniamo, la si vede diversamente sulla legge 40 o sulla riforma del lavoro.

“Protette” dal legame con l’origine, potremo confliggere più agevolmente. Potremo convergere su alcune questioni, come capita facilmente in tema di violenza sessista o anche di salute, o sul valore politico della cura, e divergere su altre. I rapporti con la nemica non saranno più devastanti, perché la riconosceremo come possibile alleata in altre circostanze. Come dice Simone Weil, ci si potrebbe associare e dissociare “secondo il gioco naturale e mobile delle affinità…”, e questo sarebbe già uno straordinario cambiamento della politica, perché è certo che noi vogliamo andare lì per cambiarla.

Oggi c’è di sicuro un livello minimo che tiene insieme tutte le nostre differenze, un comune denominatore da cui partire per costruire un’agenda politica. Lo direi sinteticamente in due punti: riportare la vita al primo posto, ed essere lì a tenercela.

E’ di qui che si deve partire.

Donne e Uomini Settembre 18, 2010

L’ONORE DELLE ARMI

Da qualche tempo si aggirano per il web certi signori a cui darei il nome di “negazionisti”. E che cosa negano, questi negazionisti? Il fatto che per qualche millennio nascere donne non sia stato un grande affare (vedi alla voce patriarcato). O che persista qualche problemino di prepotenza maschile. Scrive per esempio un tale in un blog a firma femminile (i negazionisti si esibiscono prevalentemente lì, a scopo propaganda): “Non possiedo i dati precisi, ma sono meno di 200 le donne che ogni anno in Italia perdono la vita per mano maschile... Quanti di noi o dei nostri conoscenti hanno perso una persona cara di sesso femminile per violenza maschile, rispetto a quelle morte per tumore? Anche la violenza femminile contro gli uomini è presente, sebbene i media non le diano spazio… Un’altra balla che circola è che uomini e donne non guadagnerebbero allo stesso modo a parità di mansioni, anzianità di servizio…”. E così via.

Tu puoi anche provare a discutere con un negazionista –io l’ho fatto, accanitamente-, portargli dati, statistiche, evidenze storiche, prove documentali. Niente. La sopraffazione maschile non è mai esistita. Il fatto è che stanno militando, è un’ideologia, e contro le ideologie la ragion non vale. C’è anche di peggio, volendo. Tipi assurdi che caricano su Youtube i loro comizi contro il c.d. nazifemminismo. E’ la faccia più trucida di quel contrattacco su cui Susan Faludi, premio Pulitzer del Wall Street Journal, diede l’allarme qualche anno fa nel suo “Backlash. The Undeclared War Against American Women”. Con il solito fisiologico ritardo l’onda è arrivata anche qui, dobbiamo farci i conti. E come?

Niente vittimismi, per favore: ci picchiano! ci violentano! ci licenziano! Il vittimismo è il perfetto pendant del negazionismo. Si tratta piuttosto di tenere ben presente una cosa: che finché gli uomini non avranno trovato il modo di salvare il loro onore, perdendo la loro posizione dominante, non ne usciremo. Che anche al tuo nemico più acerrimo devi permettere di salvare la faccia, se vuoi un armistizio, o meglio ancora la pace. Credo che questo le donne fatichino a capirlo.

pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 18 settembre 2010

Donne e Uomini Aprile 20, 2010

COSTRETTE A PIAGNUCOLARE

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La cosa importante è che il messaggio passi: è stato tutto inutile. Il femminismo ha fallito. Siamo tutte meno libere e più sole di 20 anni fa. Appena possono ci licenziano. Ci costringono alla taglia 42. Le ragazze vogliono fare le veline. Ci violentano, ci sfruttano. Non ci permettono di autofecondarci con il seme congelato di uno sconosciuto con pedigree. Neanche la libertà di affittare l’utero come capita nei paesi civili. Non ci lasciano abortire, il che, com’è noto, è la nostra passione, preferibilmente nel bagno di casa, con il bidet e tutte le comodità. Stiamo peggio qui che a Kandahar. E in menopausa rincoglioniamo, nonostante i cerotti. Siamo messe veramente male.
Andate in un convegno di donne –noi giornaliste ci invitano spesso- e provate per una volta a non piagnucolare, a non battervi il petto come delle prefiche. Provate a parlare di rivoluzione womenomics, di femminilizzazione del lavoro, della grande vitalità del mondo delle donne, di agio conquistato: per esempio questo, di poter confliggere tra donne sul più grande quotidiano italiano.
Vi guarderanno sbigottite, qualcuna comincerà a opporvi che il capo le fa il mobbing, e anche la capa, perché si sa che le donne sono tremende con le donne. E poi, attacca banda: appena possono ci licenziano, ci costringono alla taglia 42, eccetera.

Il vittimismo vende. Conquista le prime pagine. Una propaganda martellante: siamo le care vecchie vittime di sempre, anzi di più. E invece gli uomini, guardali lì, che meraviglia. Tutti in formissima. Pazienza se la recessione in America la chiamano he-cession. Pazienza se nel giro di un ventennio le nostre ragazze saranno le breadwinner, e i maschi al traino. Semmai il problema è quello, l’identità maschile che si disfa: basta essere madri di un ragazzo per averne un’idea. Pazienza se c’è stato un film come American Beauty, che dovrebbe avere definitivamente cambiato il nostro immaginario sulle relazioni tra i sessi. Le vittime siamo noi, e guai a chi ci usurpa il posto.
All’apparenza Susanna Tamaro e Maria Laura Rodotà dicono cose opposte: l’una che la parità e l’omologazione hanno ridotto la portata della libertà femminile; l’altra che il problema, semmai, sta nella difettosa emancipazione, nella parità non realizzata, nel fatto che le femministe italiane hanno perso inutilmente tempo a baloccarsi con il pensiero della differenza. E invece entrambe, a mio parere, contribuiscono vigorosamente alla propaganda di cui sopra (a noi donne è andata proprio male), si allineano e si danno man forte nel dipingere una situazione di illibertà e debolezza femminile. Offrono nuovi argomenti alla vulgata vittimistica che negli ultimi anni ha preso ad assordarci.
Non che non ci siano problemi, per carità. I problemi esistono, eccome. E il problema numero uno, come dice Luisa Muraro, esponente di punta di quel pensiero della differenza a cui Rodotà attribuisce la responsabilità principale delle nostre miserie, è l’attaccamento degli uomini al potere, inteso come “costitutivo della loro identità”. Vuole dire che senza quel potere che vogliono tutto per sé gli uomini non sanno come essere uomini, non sono capaci di stare al mondo, anche se in giro ce ne sono alcuni che, preso sconsolatamente atto della fine del patriarcato, si sono messi a esplorare altre possibilità. Ebbene, invece di tenere lo sguardo su questo, sull’indebolimento degli uomini con tutti i guai che si porta dietro, che è la cosa principale che sta capitando, e proprio in conseguenza di quel femminismo di cui molte negazioniste si impegnano a minimizzare la rilevanza, invece di parlare di questione maschile, eccoci ancora qui, con le nostre lacrime e i nostri fazzoletti ricamati.
Ma questa propaganda vittimistica e rabbiosa fa il gioco di controparte, per così dire, che in questo modo può negare il vero problema e tenere duro ancora per un po’. Ci indebolisce, è molto dis-empowering. Fa molta presa sulle più giovani, le induce ad accontentarsi di quel poco, le tiene lontane dagli orizzonti grandi: tanto non ci arriverai mai. Accontentati di quella mezz’ora concessa dall’azienda se il bambino ha la febbre, non puntare a cambiare l’organizzazione del lavoro –desiderio anche maschile-. Abortisci da sola con un paio di pillole, questa sì che è libertà, non quella di pretendere che si faccia festa per il tuo bambino. Lotta per il minimo paritario, alimentando il business milionario delle pari opportunità e delle sue professioniste, e non per stare nel mondo con pienezza da donna. Recrimina e mostrati bisognosa, così non li spaventerai. Non andare baldanzosa per la tua strada, non crearti una vita come vuoi tu, non approfittare di quelle vertiginose libertà che il desiderio ardente di altre donne –senza quote, senza parità, senza rappresentanti elette in Parlamento– ti ha fatto guadagnare.
Piangi. E dì che il femminismo non è servito a nulla.

dal Corriere della Sera, 19 aprile 2010

Donne e Uomini, TEMPI MODERNI Dicembre 23, 2009

IL PATRIARCA E LE FEMMINISTE

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Potrebbe sembrare irriverente chiedere a un Patriarca se è vero, come dicono le femministe, che il patriarcato è morto. Ma Angelo Scola, Patriarca di Venezia, è uomo di un certo humour. “E’ con un patriarca che sta parlando” puntualizza. “Ma se per patriarcato intendiamo il sistema di dominio degli uomini sulle donne, direi di sì, che è finito, almeno nelle sue espressioni più clamorose e triviali. Ed è iniziato lo smarrimento maschile”.
Porporato tra i più vicini a Ratzinger e Wojtyla, indicato nel 2005 nella rosa dei papabili, oltre all’Università Lateranense ha guidato l’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e sulla famiglia. Ha sempre avuto a cuore le questioni dei rapporti tra i sessi, del “caso serio” dell’amore, come l’ha felicemente chiamato in un suo saggio, della posizione della donna nel mondo. E nella circostanza del Natale ne parla volentieri, tenendo al centro Maria, la donna di Nazareth, la cui avventura straordinaria, dice, è un paradigma per le donne e per tutti: “Maria, la donna. I misteri della sua vita”, edizioni Cantagalli è il titolo del suo ultimo libro. Il Cardinale ha anche un blog: www.angeloscola.it.
La coppia che il Patriarca ha visto più da vicino è stata quella che l’ha messo al mondo. Due giovani poveri come Renzo e Lucia, in quelle stesse terre lambite dal lago a Malgrate, di fronte a Pescarenico. Socialista massimalista con la terza elementare suo padre, nato contadino e poi camionista; la mamma operaia in filanda e poi guantaia, poca scuola anche lei ma una fervida fede. 55 anni insieme, e felici.

“… Realisticamente felici” tempera il Patriarca “come potevano esserlo un uomo e una donna nati all’inizio del secolo scorso. Si volevano bene come si usava allora, un bene radicato nei fatti, poco ostentato: io stesso non ho avuto molti baci. E crescendo ho saputo vedere anche i momenti di incomprensione, di dialettica. Eppure hanno passato insieme più di mezzo secolo”.

Crede che oggi dell’amore abbiamo un’idea non realistica?

“Direi surrealista, perché se ne sottovaluta la complessità e ci si arena alla prima difficoltà. E nello stesso tempo iperrealista: ogni particolare è esplorato fino all’esasperazione, e spesso si scambia la parte per il tutto. Ma creda: non sto piangendo sulle miserie del presente. Non sono un laudator temporis acti, non amo la querulomania dominante. Mi pare anzi che viviamo un tempo affascinante, di transizione, di scoperta. Di travaglio verso il nuovo, che non necessariamente è l’inedito”.

E di grande disillusione. Gli uomini sfibrati da domande femminili che non capiscono, rintanati in un regressivo tra-maschi, spesso anche sessualmente parlando. Le ragazze che tagliano corto fantasticando il fai-da-te procreativo: mamma e figlio intrappolati in un ossessivo pas de deux, senza nessuno che arrivi a disturbarlo…

“Che le donne si sottraessero a un’oppressione millenaria è stato giusto. Ma il prezzo ingiusto è stata la perdita della loro identità profonda. Quel talento che Giovanni Paolo II chiamava genio femminile: il fatto di saper tenere il posto dell’“altro”. Che non è un posto di seconda fila, attenzione. Tenere il posto dell’altro vuol dire essere il segnavia di quell’Altro per eccellenza che è Dio. Un compito grandioso”.

Nel posto dell’“altro” non si vuole più sedere nessuno: tutti vogliamo essere quell’“uno” accomodato nel bel mezzo del mondo, omologato al modello maschile. Le ragazze vogliono avere “le palle”, come se di gente con le palle non ce ne fosse già abbastanza.

“Ma se ci stanno a cuore il destino e la vita buona delle donne e degli uomini, tutti dobbiamo tutti prendere coscienza del femminile”.

E si può essere uomini e padri, fuori dal patriarcato? Questa, oggi, è la “questione maschile”: crollato il pilastro del dominio, su che cosa ci si regge?

“Si può, a patto di non cercare di abolire la differenza, che è una dimensione non esteriore ma interna all’io, in grado di rivelarlo davvero. Ed è dinamica, perché indica la capacità di spostarsi da un’altra parte. Quando la donna e l’uomo sono una di fronte all’altro fanno esperienza di un modo differente di essere persona. E sono chiamati a spostarsi dal proprio baricentro. La differenza sessuale tiene il posto del terzo. Il posto del figlio…”.

Questo è Lacan.

“Così si spiega l’amore, che non può essere ridotto al trasporto affettivo. Deve arrivare effettivamente all’amato, è chiamato a diventare oggettivo. Amare è volere il bene dell’altro. E un bene che libera, non che lega.

Un amore così chiede un lavoro.

“Be’, non è certo cosa da una sera a cena. L’innamoramento è ambivalente. Poi si tratta di scegliere. Anche il discorso sulla paternità sta qui dentro. Oggi l’uomo può ancora essere padre, ma va anche detto che la paternità è l’amore più difficile. Tanti mi dicono: anziché eminenza, possiamo chiamarla padre? Certo, dico io. Ma non credano di liberarmi da un peso. Padre è ben più impegnativo. Ne sento tutta la fatica, sono come un infante che balbetta. Credo che la vera questione tra uomini e donne sia questa: la madre deve saper condurre il figlio al padre. Deve saper fare questo dono a entrambi. Il figlio deve prendere coscienza del fatto che accanto alla madre c’è un altro, e fargli spazio”.

Fare i conti con l’Edipo.

“Per non usare la parola truculenta di Freud, “castrazione”, direi che il rapporto con il padre è il luogo del sacrificio. E’ il principio che struttura il desiderio, ma a condizione di una rinuncia”.

Parlando della coppia, ho visto che lei usa una parola che è anche di Luce Irigaray, maestra del pensiero della differenza: “ammirazione”. Nel senso di sapersi fermare ad ammirare la differenza dell’altro, di non cercare di ridurlo a sé, lasciando uno spazio. Parlare come una femminista la imbarazza?

“Tutt’altro. Mi ha molto colpito il modo in cui pensiero della differenza affronta la questione. La mia riflessione muove da un punto di partenza molto simile”.

Sono state invece le femministe a essere colpite quando nel 2004 l’allora cardinale Ratzinger pubblicò la “Lettera ai vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna”. Quest’uomo almeno si sporge ad ascoltare, si dissero in tante, mentre la politica resta brutalmente sorda. La donna era definita “capace dell’altro”, e il dominio maschile una “perversione” del disegno di Dio; c’era un’idea molto ardita di libertà femminile, e una chiamata nelle stanze dei bottoni: come donne, però, non nei modi degli uomini, o tanto vale che ci stiano loro. Ma a questo omaggio cavalleresco non è seguito granché…

Gesù le donne le ha scandalosamente ascoltate. E l’attenzione del Santo Padre non manca. Se vi è un problema, a questo proposito, nella Chiesa, è lo stesso che esiste nella politica e nella società: e cioè il fatto che la questione del femminile non è pensata fino in fondo”.

Forse perché è un impensato che potrebbe rompere molti assetti. Peccato, perché oggi le donne sono affaticate, cercano l’aiuto dello Spirito Santo e finiscono per trovarlo nel buddismo, nel rebirthing… Nella nostra fede avremmo tutto quello che serve, ma c’è come un difetto di intimità, quando invece le donne, penso per esempio alle mistiche, hanno sempre avuto tanta confidenza con Dio. L’hanno sempre trattato come un parente, accudito come un figlio, o un amante.

“Maria è la prima a trattare Dio come familiare. E dice sì all’Angelo solo dopo aver interloquito criticamente con lui. Non è certo una sprovveduta. Se milioni e milioni di persone visitano ogni anno i santuari mariani è perché in quella ragazza trovano una via”.

Giacomo Rizzolatti, scopritore dei neuroni specchio, dice che la nostra neurofisiologia dimostra che l’individuo è un’astrazione. Che siamo sociali fin nella carne. E invece abbiamo questa passione per la singletudine. L’Occidente, qualcuno ha detto, è il terzo mondo delle relazioni.

“Il soggetto nasce con la modernità. Prima l’uomo rischiava di essere pensato come cosa tra le cose. Da allora i due piatti, la società e il singolo, sono in squilibrio costante tra un’esaltazione del collettivo a scapito dell’individuo, come nelle utopie violente del Novecento, e il culto della singolarità che vediamo oggi. La terza via è quella di costruire comunità virtuose. Perché l’io è relazionale fin dal concepimento. E’ il distacco da sé, non la solitudine, che lo potenzia. La grande risorsa dell’amore è questa”.

(pubblicato sul Corriere della Sera il 23 dicembre 2009).

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