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Chiesa

Donne e Uomini, Politica Gennaio 8, 2010

LAVORI TU, COMANDO IO

mondine
La cosa è piuttosto imbarazzante. Vittorio Zucconi racconta sulla Repubblica di oggi che il traguardo è stato raggiunto, e negli Stati Uniti metà dei lavoratori sono donne -stiamo parlando del lavoro retribuito, sia chiaro: il lavoro in senso lato è da sempre una faccenda ben più femminile che maschile-. Qui da noi ancora non ci siamo, ma ci saremo presto, nessun dubbio. Quindi niente lagne.

Le signore dunque lavorano tanto quanto gli uomini -di più-, e vengono retribuite come gli uomini -di meno-. Ma quando si tratta di prendere decisioni restano fuori dalla porta, qui come negli Stati Uniti (anche se qui molto di più). La cosa imbarazzante è questa. Oggi tutto ciò che è femminile è oggettivamente attraente, anche perché dalle tasche delle signore passa un bel po’ di denaro, e sono loro a decidere come spenderlo. Per questo, anche quando si tratta di imprese femminili o di business rivolti alle donne, e anzi sempre di più, gli uomini pretendono di tenere il pallino, di stabilire le regole, di decidere, di comandare, e naturalmente di intercettare gran parte del flusso dei soldi, perchè alla fine quello che conta è questo. Il piatto femminile è ricco, e io maschio mi ci ficco.

Di qui si possono trarre almeno due conclusioni: a) se il lavoro è sempre più femminile -o femminile tout court, se è vero che la gran parte dei nuovi posti vengono occupati da donne- allora oggi siamo noi donne a dover decidere che cos’è il lavoro, come va organizzato, in quali modi, in quali tempi, con quali obiettivi, e così via: non è questione di conciliazione, ovvero di supportare le donne perché possano adattarsi a un’idea maschile del lavoro, si tratta proprio di cambiare l’idea del lavoro, e che siano le donne a farlo; b) se questo non avverrà in tempi ragionevoli, si tratterà di ricondurre i conflitti sul lavoro, destinati inevitabilmente ad acutizzarsi, al più generale conflitto tra i sessi; si dovrà avere il coraggio di dargli questo nome, care le mie amiche manager, e agire di conseguenza.

A ciò aggiungo una terza considerazione. Da molti anni, per passione e per professione, osservo come vanno le cose tra le donne e gli uomini, e credo di poter dire questo: che tra i grandi poteri, solo la Chiesa, al suo livello più alto, mostra di voler leggere fino in fondo quello che sta capitando, prestando ascolto, almeno intermittente, a quello che le donne hanno da dire sul mondo –mentre la politica resta brutalmente e opportunisticamente sorda-. Sarebbe il momento che questo ascolto si facesse più continuativo e intenso, e il sostegno più esplicito.
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Donne e Uomini, TEMPI MODERNI Dicembre 23, 2009

IL PATRIARCA E LE FEMMINISTE

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Potrebbe sembrare irriverente chiedere a un Patriarca se è vero, come dicono le femministe, che il patriarcato è morto. Ma Angelo Scola, Patriarca di Venezia, è uomo di un certo humour. “E’ con un patriarca che sta parlando” puntualizza. “Ma se per patriarcato intendiamo il sistema di dominio degli uomini sulle donne, direi di sì, che è finito, almeno nelle sue espressioni più clamorose e triviali. Ed è iniziato lo smarrimento maschile”.
Porporato tra i più vicini a Ratzinger e Wojtyla, indicato nel 2005 nella rosa dei papabili, oltre all’Università Lateranense ha guidato l’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e sulla famiglia. Ha sempre avuto a cuore le questioni dei rapporti tra i sessi, del “caso serio” dell’amore, come l’ha felicemente chiamato in un suo saggio, della posizione della donna nel mondo. E nella circostanza del Natale ne parla volentieri, tenendo al centro Maria, la donna di Nazareth, la cui avventura straordinaria, dice, è un paradigma per le donne e per tutti: “Maria, la donna. I misteri della sua vita”, edizioni Cantagalli è il titolo del suo ultimo libro. Il Cardinale ha anche un blog: www.angeloscola.it.
La coppia che il Patriarca ha visto più da vicino è stata quella che l’ha messo al mondo. Due giovani poveri come Renzo e Lucia, in quelle stesse terre lambite dal lago a Malgrate, di fronte a Pescarenico. Socialista massimalista con la terza elementare suo padre, nato contadino e poi camionista; la mamma operaia in filanda e poi guantaia, poca scuola anche lei ma una fervida fede. 55 anni insieme, e felici.

“… Realisticamente felici” tempera il Patriarca “come potevano esserlo un uomo e una donna nati all’inizio del secolo scorso. Si volevano bene come si usava allora, un bene radicato nei fatti, poco ostentato: io stesso non ho avuto molti baci. E crescendo ho saputo vedere anche i momenti di incomprensione, di dialettica. Eppure hanno passato insieme più di mezzo secolo”.

Crede che oggi dell’amore abbiamo un’idea non realistica?

“Direi surrealista, perché se ne sottovaluta la complessità e ci si arena alla prima difficoltà. E nello stesso tempo iperrealista: ogni particolare è esplorato fino all’esasperazione, e spesso si scambia la parte per il tutto. Ma creda: non sto piangendo sulle miserie del presente. Non sono un laudator temporis acti, non amo la querulomania dominante. Mi pare anzi che viviamo un tempo affascinante, di transizione, di scoperta. Di travaglio verso il nuovo, che non necessariamente è l’inedito”.

E di grande disillusione. Gli uomini sfibrati da domande femminili che non capiscono, rintanati in un regressivo tra-maschi, spesso anche sessualmente parlando. Le ragazze che tagliano corto fantasticando il fai-da-te procreativo: mamma e figlio intrappolati in un ossessivo pas de deux, senza nessuno che arrivi a disturbarlo…

“Che le donne si sottraessero a un’oppressione millenaria è stato giusto. Ma il prezzo ingiusto è stata la perdita della loro identità profonda. Quel talento che Giovanni Paolo II chiamava genio femminile: il fatto di saper tenere il posto dell’“altro”. Che non è un posto di seconda fila, attenzione. Tenere il posto dell’altro vuol dire essere il segnavia di quell’Altro per eccellenza che è Dio. Un compito grandioso”.

Nel posto dell’“altro” non si vuole più sedere nessuno: tutti vogliamo essere quell’“uno” accomodato nel bel mezzo del mondo, omologato al modello maschile. Le ragazze vogliono avere “le palle”, come se di gente con le palle non ce ne fosse già abbastanza.

“Ma se ci stanno a cuore il destino e la vita buona delle donne e degli uomini, tutti dobbiamo tutti prendere coscienza del femminile”.

E si può essere uomini e padri, fuori dal patriarcato? Questa, oggi, è la “questione maschile”: crollato il pilastro del dominio, su che cosa ci si regge?

“Si può, a patto di non cercare di abolire la differenza, che è una dimensione non esteriore ma interna all’io, in grado di rivelarlo davvero. Ed è dinamica, perché indica la capacità di spostarsi da un’altra parte. Quando la donna e l’uomo sono una di fronte all’altro fanno esperienza di un modo differente di essere persona. E sono chiamati a spostarsi dal proprio baricentro. La differenza sessuale tiene il posto del terzo. Il posto del figlio…”.

Questo è Lacan.

“Così si spiega l’amore, che non può essere ridotto al trasporto affettivo. Deve arrivare effettivamente all’amato, è chiamato a diventare oggettivo. Amare è volere il bene dell’altro. E un bene che libera, non che lega.

Un amore così chiede un lavoro.

“Be’, non è certo cosa da una sera a cena. L’innamoramento è ambivalente. Poi si tratta di scegliere. Anche il discorso sulla paternità sta qui dentro. Oggi l’uomo può ancora essere padre, ma va anche detto che la paternità è l’amore più difficile. Tanti mi dicono: anziché eminenza, possiamo chiamarla padre? Certo, dico io. Ma non credano di liberarmi da un peso. Padre è ben più impegnativo. Ne sento tutta la fatica, sono come un infante che balbetta. Credo che la vera questione tra uomini e donne sia questa: la madre deve saper condurre il figlio al padre. Deve saper fare questo dono a entrambi. Il figlio deve prendere coscienza del fatto che accanto alla madre c’è un altro, e fargli spazio”.

Fare i conti con l’Edipo.

“Per non usare la parola truculenta di Freud, “castrazione”, direi che il rapporto con il padre è il luogo del sacrificio. E’ il principio che struttura il desiderio, ma a condizione di una rinuncia”.

Parlando della coppia, ho visto che lei usa una parola che è anche di Luce Irigaray, maestra del pensiero della differenza: “ammirazione”. Nel senso di sapersi fermare ad ammirare la differenza dell’altro, di non cercare di ridurlo a sé, lasciando uno spazio. Parlare come una femminista la imbarazza?

“Tutt’altro. Mi ha molto colpito il modo in cui pensiero della differenza affronta la questione. La mia riflessione muove da un punto di partenza molto simile”.

Sono state invece le femministe a essere colpite quando nel 2004 l’allora cardinale Ratzinger pubblicò la “Lettera ai vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna”. Quest’uomo almeno si sporge ad ascoltare, si dissero in tante, mentre la politica resta brutalmente sorda. La donna era definita “capace dell’altro”, e il dominio maschile una “perversione” del disegno di Dio; c’era un’idea molto ardita di libertà femminile, e una chiamata nelle stanze dei bottoni: come donne, però, non nei modi degli uomini, o tanto vale che ci stiano loro. Ma a questo omaggio cavalleresco non è seguito granché…

Gesù le donne le ha scandalosamente ascoltate. E l’attenzione del Santo Padre non manca. Se vi è un problema, a questo proposito, nella Chiesa, è lo stesso che esiste nella politica e nella società: e cioè il fatto che la questione del femminile non è pensata fino in fondo”.

Forse perché è un impensato che potrebbe rompere molti assetti. Peccato, perché oggi le donne sono affaticate, cercano l’aiuto dello Spirito Santo e finiscono per trovarlo nel buddismo, nel rebirthing… Nella nostra fede avremmo tutto quello che serve, ma c’è come un difetto di intimità, quando invece le donne, penso per esempio alle mistiche, hanno sempre avuto tanta confidenza con Dio. L’hanno sempre trattato come un parente, accudito come un figlio, o un amante.

“Maria è la prima a trattare Dio come familiare. E dice sì all’Angelo solo dopo aver interloquito criticamente con lui. Non è certo una sprovveduta. Se milioni e milioni di persone visitano ogni anno i santuari mariani è perché in quella ragazza trovano una via”.

Giacomo Rizzolatti, scopritore dei neuroni specchio, dice che la nostra neurofisiologia dimostra che l’individuo è un’astrazione. Che siamo sociali fin nella carne. E invece abbiamo questa passione per la singletudine. L’Occidente, qualcuno ha detto, è il terzo mondo delle relazioni.

“Il soggetto nasce con la modernità. Prima l’uomo rischiava di essere pensato come cosa tra le cose. Da allora i due piatti, la società e il singolo, sono in squilibrio costante tra un’esaltazione del collettivo a scapito dell’individuo, come nelle utopie violente del Novecento, e il culto della singolarità che vediamo oggi. La terza via è quella di costruire comunità virtuose. Perché l’io è relazionale fin dal concepimento. E’ il distacco da sé, non la solitudine, che lo potenzia. La grande risorsa dell’amore è questa”.

(pubblicato sul Corriere della Sera il 23 dicembre 2009).

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Politica, TEMPI MODERNI Maggio 26, 2009

MEMO

Ricordarsi di bere tanta acqua, con questo caldo: più si è avanti con gli anni, meno si sente la sete. Rischio di disidratazione e di coliche renali.

Ricordarsi che non siamo un paese normale, non lo siamo mai stati e verosimilmente non lo saremo mai: se anche il premier dichiarasse che sì, in fondo una cottarella per Noemi se l’è presa, e un bacetto ci è pure scappato (Gesù…), che qualche bugia l’ha raccontata, la cosa probabilmente non sposterebbe un voto.

Ricordarsi che se la Chiesa dovesse prendere partito, se i vescovi mettessero davvero i piedi in questo gustoso piatto, se pretendessero davvero fino in fondo dal premier fimminaro quella “sobrietà” che si aspettano da ogni buon cristiano, se sanzionassero la sua condotta, allora sì, forse qualche voto si sposterebbe.

Ricordarsi che quando il consenso è così incredibilmente unanime e imperturbabile, il redde rationem può arrivare magari non subito, ma all’improvviso, per una qualunque causa occasionale, ben più insignificante della piccola Noemi; che la sorte può repentinamente mutare, e quindi non c’è da stare troppo tranquilli.

OSPITI Dicembre 2, 2008

LO SPAZIO IN MEZZO di Luisa Muraro

Su Chiesa e omosessualità, ricevo e pubblico un intervento della filosofa Luisa Muraro.

Oltre a danneggiare la Chiesa, pensi tu Marina che questa presa di posizione del Vaticano abbia l’effetto di ostacolare la campagna della depenalizzazione? Gli ostacoli sono già tanti e decisivi, temo, il che deve suggerire un’ipotesi: forse ci sono altri effetti che questa presa di posizione del Vaticano persegue, uno potrebbe essere di marcare una vicinanza con l’Islam, e di restare così nell’area della religiosità sentita e praticata, restarci in maniera concorrenziale, distante dal dilagare di permissività e di diritti a gogò che va in circolo con la crescente indifferenza religiosa.

luisa muraro, "il dio delle donne"

luisa muraro, "il dio delle donne"

La questione che io sollevo diventa allora un’altra, ed è che si sta confondendo i diritti con la depenalizzazione, esattamente come si è fatto con l’aborto (che è argomento ben diverso, intendiamoci). In
entrambi i casi, si crede che depenalizzare sia uguale a sancire un nuovo diritto relativo al comportamento depenalizzato. Tu dici, come altri: che i comportamenti omosessuali siano giudicati un peccato, io non lo credo ma ammetto che la Chiesa possa insegnarlo. Secondo me, la fai troppo facile, devi considerare che questo è troppo poco dal punto di vista di coloro che pensano che sia un peccato, per loro bisogna anche che la cultura lo faccia sentire come tale, altrimenti…

A me pare di vedere che c’è un margine per uno scambio, direi quasi una trattativa fra le due posizioni, ed è questo. C’è sotto un errore, si crede che, fra riconoscere un diritto e vederci al contrario un reato, non ci sia niente di mezzo, e a causa di questo niente di mezzo, qualcuno ha creduto giusto mantenere la condanna penale. Ma è sbagliato e bisogna adoperarsi a mostrarlo, come noi femministe a suo tempo abbiamo insistito che è sbagliato parlare di un diritto d’aborto, è sbagliato anche legalizzarlo (come poi si è fatto) e che la strada giusta è la semplice depenalizzazione, in quanto questa riduce l’ambito degli interventi del diritto penale ampliando l’ambito di altri possibili interventi. Ma quali sarebbero, nel caso dell’omosessualità?

Uno ne vedo, che forse sono molti: combattere il disprezzo per favorire la consapevolezza e la conoscenza, che sono sicuramente strade per uscire da comportamenti coatti e dal vittimismo sempre in cerca di risarcimenti e compensazioni.

Ciao, Luisa Muraro.

AMARE GLI ALTRI Dicembre 2, 2008

DISPOSTA A SCRISTIANIZZARMI

Mi sento con compassione dalla parte di quei molti preti di buona volontà, e in particolare di quei preti omosessuali, a cui oggi il voto di ubbidienza peserà come un macigno. Rispetto la Chiesa, sono cresciuta nel suo abbraccio, benché da tempo me ne sia parzialmente sciolta, e credo che la fede possa fare molto per alleviare l’infelicità e l’ingiustizia. Oggi la Chiesa avrebbe potuto serenamente sostenere, pur senza venire meno al principio in base al quale la stigmatizza come un doloroso peccato -principio che pure non sento come mio-, che l’omosessualità non è un reato. Perchè un conto è un peccato, che attiene alla libera coscienza, un altro conto è un reato, punito in un centinaio di stati di questa terra e in una ventina addirittura con la messa a morte. E invece la Chiesa si dice contraria alla proposta di depenalizzazione dell’omosessualità che la Francia ha annunciato di voler sottoporre alle Nazioni Unite.

Sono certa che la Chiesa, ovvero il corpo dei fedeli, si senta ferita a morte da questa violenta presa di posizione del suo Principe, che significa assumersi fin da oggi, inutile girarci intorno, il peso di centinaia di omosessuali crocifissi con la sua benedizione, o quanto meno con la sua complice distrazione. “Not in my name”, è questo che dovrebbero dire tanti cattolici in tutto il mondo.

Sono sicura che qualcosa è andato storto, perché Dio è perdono, e Gesù si farebbe mettere in croce al posto del più piccolo omosessuale di questo mondo, e c’è tutto il tempo per correggere la stortura. O in alternativa sono costretta a pensare a un perverso moto autopunitivo, alla torsione di una cattiva coscienza, poiché come tutti sanno -basta aver frequentato un oratorio, o essere stati in un collegio religioso- tra gli uomini di Chiesa la percentuale di omosessuali, praticanti o meno, è decisamente alta, e l’omofobia corrispettiva e denegante altrettanto cospicua.

C’è qualcosa di terribilmente e perversamente umano, dietro questa orribile decisione in nome di Dio. NOT IN MY NAME di sicuro. Anch’io sono cristiana, e sono disposta a scristianizzarmi se nell’indifferenza o peggio della mia Chiesa un solo ragazzino iraniano andrà a morte perché gay.

Archivio Luglio 18, 2008

ELUANA DEVE MORIRE!

Sì, è vero, c’era un po’ di rabbia, che non è mai una buona compagna di viaggio, e che mi ha indotto, più che alla sintesi, alla sincope.

Si tratta di questo: troppa gente, sul caso di Eluana, la fa molto facile, non ha dubbi, parteggia rumorosamente, ha fretta di vedere le spine staccate.  Al silenzio di quella giovane donna corrisponde il fragore dei nostri argomenti, strillati sulle spiagge e nei bar. Io non sento di potermi esprimere con tanta disinvolta certezza, né a voce tanto alta.

La sola cosa che mi sento di dire è che, in materia di inizio e fine della vita, cioè quando si tratta di questioni di biopolitica, è meglio chiamare a esprimersi i legislatori, nostri rappresentanti eletti, che affidarsi ai giudici e alle sentenze. Noto inoltre che non sapendo più bene che vosa voglia dire essere laici, si pensa che basti gridare il proprio anticlericalismo e muovere guerra a chi chiede che non si stacchi la spina: “Eluana deve morire!”. Come se la sua morte aiutasse i laici a capire meglio che cosa sono.

Archivio Luglio 17, 2008

RIDATECI BIG BROTHER

Il vero laico non si sa precisamente cosa sia, ma certo è un tipo pratico che non ci pensa su due volte: dona seme, presta ovuli, affitta uteri, non mette in imbarazzo il mondo generando bambini anche  minimamente difettosi, gira per le corsie a staccare spine, non si perde in sottigliezze inutili, tipo distinguere tra giudici e lesgislatori, dice che la Chiesa “deve tacere”, non vuole più sentire chiacchiere. Facciamo in fretta, che ho da fare.

Le spine da staccare sono un corroborante per l’incerta identità del vero laico.

Ridateci Big Brother.